Altro che neve: quella di sabato a San Vito Cadore è polvere di stupidità

Umberto Baldo
La notizia rimbalza su social e siti: “San Vito di Cadore imbiancata a fine giugno!”.
Apri le foto e resti interdetto: strade bianche, tetti bianchi, alberi coperti…
Ma che è? Un remake di “Frozen” girato in Veneto? No, è polvere. Sì, polvere di frana, che è molto meno poetica della neve, ma decisamente più pericolosa.
Sì, perché dalla Croda Marcora, gruppo del Sorapiss, si è staccato un bel pezzo di montagna.
Roba che accade da milioni di anni, ma ogni volta ci caschiamo come fosse la prima. E stavolta fa notizia perché ha spolverato di grigio tetti, strade e selfie stick.
E come reagisce il civilissimo Nordest?
Ma con stupore, ovvio.
Sconcerto, titoloni, e subito a chiedere perché non si sia fatto nulla.
Perché qui, finché non frana in diretta su un influencer o su una funivia inaugurata a suon di selfie e tagli di nastro, nulla esiste. Nemmeno il dissesto.
Naturalmente, ecco che parte il grande circo: vertici in Prefettura, dichiarazioni accorate, tavoli tecnici, esperti geologi, protezione civile, forestali, ambientalisti improvvisati ,e pure l’albergatore preoccupato che il turista tedesco cancelli la settimana bianca… a luglio.
Perché, diciamolo: che le montagne si muovano, crollino, si disfino è un dettaglio.
Il vero problema è che disturbano.
Rovinano il business.
Danno fastidio ai progetti per la nuova cabinovia a risparmio energetico (che poi sale a 2.000 metri per portare sciatori su piste senza neve, ma con una buona connessione Wi-Fi).
Intralcia la costruzione del resort ecosostenibile a impatto zero, che però impatta parecchio sul paesaggio.
E mette a rischio i Giochi Olimpici di Milano-Cortina, che saranno “green”, certo, ma solo se non piove, non frana e non fa troppo caldo.
Cioè: mai.
Nel frattempo, gli stessi che piangono lacrime di sconcerto davanti alla frana, l’estate prima hanno fatto colate di cemento a 1.800 metri. Perché “il territorio va valorizzato”. Con il trapano, evidentemente.
E mentre i notiziari spiegano con aria grave che “le frane aumentano a causa del cambiamento climatico”, nessuno pare rendersi conto che il cambiamento climatico non è una forza astratta come il karma o la sfiga.
Lo abbiamo fabbricato noi, pezzo dopo pezzo, come le stazioni sciistiche a 1.800 metri con impianti da milioni di euro e la neve portata con l’elicottero.
Poi succede che la montagna si rompe. E noi ci scandalizziamo come se fosse maleducata.
Ma andiamo al punto: alla montagna vera, quella dei boschi, delle malghe, dai caseifici sperduti in altura, non ci crede più nessuno.
Perché la montagna oggi dev’essere un fondale da cartolina, un’immagine da drone, una vetrina dove mostrare quanto siamo bravi a spalmare cemento anche a 2.000 metri.
Deve essere immobile, perfetta, “instagrammabile”.
E soprattutto redditizia.
Chi ha soldi ci investe, chi non li ha ci lavora (sottopagato), e chi ci vive da sempre viene relegato a fastidiosa presenza locale, tipo campanile storto: folclore da usare quando serve.
In compenso, un bilocale a Cortina lo trovi tranquillamente a 3 milioni.
Anzi no: “prezzo riservato”, che fa più chic.
Il tutto mentre frana ogni versante che non ha un resort sopra.
Nel frattempo, ci prepariamo alle Olimpiadi Invernali del 2026, presentate come la panacea di ogni male, la “grande occasione”.
Ma per chi? Per la gente di montagna o per i soliti consorzi, le solite imprese, le solite lobby che si spartiranno milioni in appalti per impianti che diventeranno rottami già nel 2030?
Parliamoci chiaro: la montagna sta marcendo sotto l’illusione di essere moderna.
Si svuota di chi la viveva, si riempie di seconde case, si trasforma in vetrina, ma la natura – quella vera – non recita.
Non ha sceneggiatura. Cade. Frana. Crolla. Non aspetta il buffet inaugurale, né la conferenza stampa con il governatore che si fa riprendere col giubbotto della Protezione Civile (mai sporco, per carità).
D’altronde con lo zero termico ormai di frequente a 5000 metri, oltre ai ghiacciai si scioglie anche il permafrost, quello che tiene unite le rocce, che improvvisamente libere si sfaldano e cadono, come fanno da milioni di anni, da quando le dolomiti si sono formate.
E allora forse la verità è semplice, e dolorosa: non siamo più in grado di convivere con la montagna perché abbiamo smesso di rispettarla.
Vogliamo usarla, sfruttarla, venderla, imbellettarla… ma non ascoltarla.
E lei ci risponde nel solo modo che conosce: franando.
Finché un giorno non sarà più polvere, ma tragedia.
Umberto Baldo













