La malattia dell’Italia, l’iperproduzione di leggi

Per il magistrato Carlo Nordio e l’avvocato Fabio Pinelli ci sono troppe leggi e diventa impossibile rispettarle tutte
“Il nostro Codice Penale risale al 1930, è firmato da Benito Mussolini e da Vittorio Emanuele III. Basterebbe questo per capire la situazione della legislazione penale in Italia” – esordisce così Carlo Nordio, Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, al convegno di Confindustria su “Il governo del rischio penale dell’attività d’impresa” che si è tenuto nei giorni scorsi.
“Al Codice del 1930” – continua Nordio – “nei decenni successivi si sono solo aggiunte norme arrivando ad un numero straordinario di circa 250 mila, quando la media europea in Paesi come Francia, Germania e Inghilterra è di circa 25 mila. Arriviamo quindi al paradosso che spesso la confusione, nel diritto penale, regna sovrana perchè ci sono norme che si contraddicono tra di loro perchè emanate in tempi diversi e perchè spesso il Legislatore dimentica di abrogarle. “Corruptissima Republica, plurime leges” – continua il magistrato veneziano ricordando la massima di Tacito – “La malattia incurabile dell’Italia è l’iperproduzione di norme che si sovrappongono e si contraddicono e se seguiamo l’insegnamento di Tacito, se la misura della corruzione di uno stato è direttamente proporzionale alle norme in essere siamo nei guai. La cura” – conclude Nordio – “è mettere mano al Codice ed eliminare almeno l’80% delle leggi e semplificare quello che resta. Lo ha detto anche Renzi in questi giorni”
“La legalità penale dovrebbe essere una legalità residuale, l’extrema ratio, mentre ormai siamo arrivati ad un punto in cui l’attività d’impresa ne e’ talmente impregnata sino a esserne, in taluni casi, paralizzata.” Così Fabio Pinelli, penalista padovano che accanto a Carlo Nordio, cui lo unisce una visione critica sull’atteggiamento del Legislatore nei confronti delle imprese, è intervenuto portando il suo contributo all’incontro confindustriale –
“Lo strumento penalistico è diventato un sublime mezzo di consenso e lo abbiamo visto poco tempo fa quando sono stati definiti i reati di femminicidio o l’omicidio stradale. Spesso” – ha continuato Pinelli – “la politica ricorre allo strumento penale per assicurarsi il consenso, ma viene dimostrato dai fatti che l’inasprimento delle pene o l’aumento delle ipotesi di reato non risolve il problema, anzi. Nel caso poi specifico delle imprese, siamo arrivati al punto con la legge 231/01 che lo Stato ha compiuto una vera e propria delega alle aziende affinche’ si occupino del rischio penale , un’azione preventiva per conto dello Stato. Tutto cio’ e’ profondamente sbagliato, potremmo dire illiberale, e nasconde una sfiducia nei confronti del mondo imprenditoriale, quasi che esso possa essere la cellula che da’ linfa alla criminalita’ economica.”
“In sostanza” – ha concluso il penalista padovano – “oggi l’imprenditore viene punito se non previene il rischio penale, e’ messo in una posizione potenzialmente sempre pericolosa, gravato di un aumento di costi e con un’attività di impresa sempre piu’ complicata da svolgere. Quello che serve è un Legislatore che semplifichi e che scongiuri quella che Papa Francesco ha definito con una sintesi significativa “il populismo penale” , cioe’ la convinzione che mediante lo strumento penale si possano ottenere quei benefici che richiederebbero invece l’implementazione di un altro tipo di politica economica e di inclusione sociale”.













