Professori: orrori grammaticali e dialetto

(lo studente imbruttito)
Il mondo della tecnologia invade le nostre vite e il nostro stesso linguaggio, che continua a mutare. Abbreviazioni ed errori grammaticali possono sfuggire spesso se si è di fronte ad un computer, nella fretta o immediatezza del momento: a tutti può capitare di digitare erroneamente in un messaggio privato e di certo non guasta, o, al massimo, piace poco al ricevente.
Ma se questi errori diventassero pubblici? Se fosse proprio un professore a scriverli o a pronunciarli davanti ad una classe? Anche in questo caso è sempre possibile accettare l’errore?
“Qual è” con l’apostrofo, il migliore. “Po’”con l’accento, l’inimitabile (per fortuna).
Una volta, sarà distrazione, due volte, sarà stanchezza, tre volte… non ci sono più scuse. Ad un certo punto l’alunno indispettito cede.
Tutti possono sbagliare, ovviamente, ciò che invece è più raro è che sia un alunno a dover correggere un professore. Nulla di impossibile, o al di là delle capacità di un bambino di quarta elementare, intendiamoci. Semplici errori di grammatica italiana.
E non pensiate che il congiuntivo risparmi qualcuno! Compiaciuti e fieri professori laureati in lettere, filosofia che sentenziosamente dichiarano “Penso che vale la pena” al posto di “Penso che valga la pena”, o “Credo che non viene” per dire “Credo che non venga”.
Cori tonanti di alunni che, una volta resi conto dell’errore, passano a sbellicarsi tra i banchi o cominciano a giustificare il professore (perché troppo increduli) o si sentono presi in giro.
Perché, cari insegnati: decidetevi!
Le opzioni sono due:
1 Abolite definitivamente il congiuntivo, e ogni qualunque forma di periodo ipotetico, che da sempre fa dannare tutti gli studenti (abolizione adattissima in questo periodo di crisi ed insicurezze in cui la certezza dell’indicativo fa giusto al caso nostro… ).
2 Andate ad un corso intensivo di grammatica di base, in terza elementare.
E alle fatidiche domande “Ma capite quando parlo? O parlo in arabo?”, la risposta degli alunni molto spesso potrebbe essere “Professoressa, la prego, cominci con l’italiano!”
Al di là degli errori, o meglio, orrori, in qualche caso dall’italiano si passa direttamente al dialetto. E anche qui le opzioni sono molte:
1 Istituire un’ora di DIALETTO a settimana, per conservare il patrimonio linguistico, certamente.
2 Semplicemente trovare un qualche altro modo per attirare l’attenzione dei ragazzi, o fingersi divertenti (una “battuta” o un “rimprovero non serio”: questi, apparentemente, sembrano essere i motivi per cui gli insegnanti utilizzano il dialetto, ma al momento purtroppo non vi sono abbastanza attrezzature scientifiche in grado di giustificare questo ambiguo fenomeno naturale).
C’è speranza per tutti, dicevano, e le proposte ci sono. In fondo, oltre che cercare di riaccendere qualche coscienza o sollecitare qualcuno ad andare a ripassare, quello che possiamo fare è semplicemente studiare, per evitare che gli errori attecchiscano più di quanto non abbiano già fatto.
Perché d’altronde, è proprio vero per tutti: non si finisce mai di imparare!













