5 Gennaio 2014 - 10.27

Victim Profiling: quando l’amore diventa letale

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Di Elisa Caponetti (concessione Notte Criminale)

Troppo spesso si parla dell’autore del reato e si dà risalto al crimine commesso, ma raramente si studia il profilo della vittima. Ed è un peccato, perché nulla è casuale e si tratta di veri e propri incastri patologici e disfunzionali! E già. La presunta vittima ed il presunto autore sono nello stesso tempo, entrambi vittime ed artefici di loro stessi, come se fossero uno l’immagine riflessa dell’altro. La relazione che si crea tra il molestatore e la sua vittima è stata troppe poche volte esplorata soprattutto nelle sue dinamiche relazionali, anche perché come ben sappiamo, spesso si dà risalto al crimine ed al fatto di cronaca. Le ricerche, di rado si sono concentrate sulla vittima e sull’incastro di coppia molestato-molestatore. Ma come sempre cerchiamo di analizzare i dati oltre l’apparenza. Cos’è che accomuna e lega vittima e autore? Quali i vissuti più intimi? C’è una profonda similitudine nella diade vittima-autore: provano entrambi le stesse cose e temono le stesse cose. Perdere l’altro rappresenta una disintegrazione di se stessi. In entrambi c’è un bisogno di sfuggire da uno stato di profonda sofferenza. Per meglio comprendere questo incastro, bisogna capire la distinzione che avviene in una coppia sana e funzionante ed in quella patologica e deviante. Nei normali rapporti di coppia ci sono tre dimensioni fondamentali che vanno ad articolare un sentimento d’amore in modo equilibrato. E sono legate al piacere (nel momento in cui avverto un desiderio di te), all’affetto (legato al sentimento, per cui io sto bene con te) ed alla stima (Io scelgo te tra mille altri). La relazione funzionale, avviene ogni volta che si riesce a stare insieme all’altro, rimanendo però centrati su se stessi, mantenendo autonomia, libertà ed indipendenza. Ovvero, è una maturazione emotiva e non dipendente dall’altro. Tutto ciò si raggiunge soltanto nel momento in cui si sta bene con se stessi. I due partner che creano la coppia mantengono così, peculiarità e al contempo, diversità. Non diventano fusi in un tutt’uno e neanche troppo centrati solo su stessi. C’è equilibrio tra IO, Tu e NOI. Non avviene nessuno sbilanciamento. Essere in coppia implica sapersi ogni volta ritrovare con entusiasmo nella presenza, dopo essersi inevitabilmente separati. Nelle coppie vittime/autore del reato, le persone sono o troppo incentrate su se stesse, divenendo narcisisti ed esclusivisti (esiste solo l’Io), o si perde completamente di vista la propria individualità (centrati sul Tu), o ancora perdendosi esclusivamente nella coppia (non vedendo nell’Io né il Tu). Non c’è quindi equilibrio. Il bisogno assoluto di stare con l’altro si associa spesso alla paura di voler possedere l’altro, di doverlo controllare. L’amore si trasforma in manipolazione, oppressione e prigionia. Ciò fa si che la persona abusante porti la vittima a mettere in dubbio il proprio equilibrio mentale arrivando a mettere in discussione la propria capacità di giudizio. Si genera così dipendenza e confusione. Il proprio carnefice si vede come l’unica figura salvifica. E come in un circuito perverso, il comportamento dell’uno alimenta, collude e distorce quello dell’altro. Si entra così in un circolo vizioso che genera una escalation che spesso si conclude con l’atto criminale. La vittima, spesso è una persona che ha bassa stima di se’ e profonda insicurezza, ha bisogno di appoggiarsi all’altro che vede apparentemente forte, che la guida e prende decisioni per lei. Tutto ciò però non fa che alimentare sentimenti di rabbia, tristezza ed angoscia, ma anche paura, rendendosi sempre più conto di essere una persona di scarso valore e che necessita di un lui “forte”. Ed è per questo, che spesso quando il persecutore si ferma, è la vittima a cercarlo. C’è una collusione continua e difficilmente scindibile tra l’aguzzino ed il perseguitato. Ed è proprio questa collusione l’elemento tipico della diade ed il meccanismo che si reitera continuamente. L’autore del reato e la vittima, condividono lo stesso malessere, provano le stesse cose e vivono le stesse emozioni. Ciò spiega come mai, spesso nonostante storie di lunghe violenze e persecuzioni, le vittime hanno difficoltà a denunciare e ad abbandonare il proprio compagno molestatore. Fanno propria la lettura distorta e patologica dell’altro. “Sono io quella sbagliata, merito di essere picchiata, non valgo niente, senza di lui sono nessuno, ecc”.. E ciò ha potere in quanto risuona ed amplifica un dolore emotivo lontano e primitivo. Sia l’autore che la vittima, spesso hanno storie familiari di privazioni ma anche costruzione di legami affettivi disfunzionali, dove ha fallito l’imprinting iniziale. E sono proprio quelle primordiali esperienze di costruzione dei legami affettivi che ci rendono reattivi ai successivi attaccamenti. Il terapeuta che arriva a prendere in cura queste persone, dovrà riuscire ad accedere nel loro mondo emozionale, arrivando poi ad una vera e propria ristrutturazione emotiva.

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