29 Marzo 2023 - 16.15

Vicenza e i locali del cuore chiusi definitivamente

I locali spariti

Vicenza ha la memoria corta: come ha dimenticato nel volgere di pochissimi anni le figure che la hanno nobilitata nel mondo – non stiamo parlando di Palladio e Pigafetta, ma di Neri Pozza e Giuseppe Roi, per citarne solo due tra tanti – così si è scordata, o peggio ha fatto si che cadessero nell’oblio, alcuni locali che ne hanno segnato la storia.

Sì, la storia, perché anche un caffè o un’osteria o una paninoteca possono di diritto entrare a far parte di quella memoria condivisa che è parte integrante della valigia dei ricordi di ciascuno di noi.

Oggi questi esercizi commerciali, veri aggregatori sociali in un passato neppure troppo lontano, “sopravvivono” nei discorsi di qualche nostalgico che, come un aedo greco, cerca di tramandarne memoria con racconti nostalgici e al contempo tristi.

Correva l’anno 1896 quando in Borgo San Felice – oggi Corso San Felice – apriva i battenti, al civico 362 l’osteria, poi birreria, “Sartea”. All’epoca poco lontano c’era lo stadio dove fino al 1935 giocava il Vicenza.

Era un gioiello Liberty il palazzetto con giardino dove generazioni di vicentini delle estrazioni sociali più diverse si sono intrattenuti per sorseggiare una birretta e mangiare un cicchetto, magari facendo una partita a carte o ascoltando del buon Jazz.

Nel 1944 “Sartea” era stata risparmiata dalle bombe alleate mentre gli edifici circostanti erano stati duramente colpiti, quasi fosse indistruttibile.

Nel corso degli anni aveva chiuso e riaperto più volte e nonostante non tutte le gestioni si siano distinte per simpatia “Sartea” ha sempre potuto contare sulla fedeltà dei suoi avventori che hanno visto e percepito la birreria come una sorta di prolungamento domestico.

Come per il “Bar Sport” immortalato nel romanzo omonimo di Stefano Benni si favoleggiava di avventori mitologici, di biscazzieri, di traffici eterogenei, il tutto a nutrire una letteratura stregante.

Aperture e chiusure, si diceva, l’ultima e definitiva dopo il tentativo impossibile di trasformarla nell’ennesima pizzeria gourmet, di cui per inciso non si sentiva la minima necessità.

“Sartea” è ancora lì, cadente, in attesa che qualcuno la trasformi in un’agenzia di consulenza finanziaria o nella filiale di un’immobiliare.

Sarebbe bellissimo poter risentire le note di un sax tenore mentre ci si fanno i segni a briscola davanti ad una rossa media. Chissà.

Altra odissea vicentina è quella dello storico Caffè Moresco in Campo Marzo, passato da salotto a covo di topi dopo svariate traversie.

Progettato dall’architetto Giovanni Miglioranza il Caffè Moresco, che all’epoca si chiamava però “Caffè Turco”, aprì i battenti la sera del 14 luglio 1838, andando ad abbellire ulteriormente il lungo viale alberato progettato da Bartolomeo Malacarne e piantumato con platani.

Le snelle guglie del caffè non scamparono alla guerra e, al contrario di “Sartea”, il Moresco fu interamente distrutto nei bombardamenti dal ’43 al ‘45che si porto via anche il Teatro Verdi di cui il Moresco era una sorta di salotto buono o di foyer alternativo.

Ricostruito in forme più essenziali dopo la guerra il Moresco tornò ad essere uno dei fulcri della vita vicentina, con la banda che ogni domenica mattina mentre più complessa e meno soddisfacente doveva esserne la fruizione durante la fiera bovina che con i suoi effluvi copriva l’aroma del caffè e del cioccolato o la fragranza della mitica granatina.

Poi il declino, tra abbandoni e promesse, fino a che nel 2019 iniziò a prendersene cura la Sezione vicentina dell’Associazione Nazionale Alpini cui seguì l’errore di concedere l’ex salotto buono ad un’orrida catena di fast-food dal sapore yankee che durò lo spazio di un mattino anche per colpa del Covid.

Torneremo a mangiare la granatina? Mah …

Venendo ad epoche più vicine a noi, chi ha la mia età – che è quella dei paninari – non più non ricordare la mitica “Cantinota” in Piazzetta del Garofolino, giusto dietro a quell’altro monumento all’ignavia berica che è l’ex Cinema Corso.

Negli anni Ottanta del secolo scorso la Cantinota, con i suoi hamburger e le bruschette che vincevano a man bassa sui panini del non lontano Burghy, era il punto di ritrovo di quasi tutte le compagnie “fighette” della città che la affollavano soprattutto il pomeriggio del sabato, sosta quasi obbligata tra una serie di “vasche” e un’altra.

Chiuso il cinema il destino della paninoteca fu segnato e Vicenza perse un altro punto di aggregazione.

Riaprire? Impensabile: che investirebbe in un locale che insiste nell’ambito di un complesso fatiscente?

Che tristezza e che nostalgia una città che dimentica il suo passato.

Alessandro Cammarano

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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