3 Novembre 2023 - 10.54

Vicenza citta “provinciale” (ma potrebbe non esserlo)

Di Alessandro Cammarano

So già che dopo un articolo come questo dovrò travestirmi con parrucca e baffi posticci, celandomi sotto un cappello a tesa larga e cominciare a strisciare lungo i muri dei palazzi, oltre a dover imparare a parlare con l’ “accento svedese” per non essere riconosciuto; ma tant’è.

A me il politicamente scorretto piace parecchio, ragion per cui proseguo con la scrittura; magari trovo pure qualcuno che sia d’accordo con me e non mi picchierà incontrandomi.

Parliamo ancora una volta di Vicenza, la nostra Vicenza “Città Bellissima”, scrigno di monumenti meravigliosi, piena di spunti, ricca di iniziative potenzialmente vincenti ma incapace di distaccarsi da un certo qual ansia da prestazione che, nel un desiderio – un po’ sciocchino – di volersi affrancare da un certo qual provincialismo la fa cadere esattamente nelle braccia del provincialismo stesso, facendone a tratti più un paesotto che non un capoluogo.

Ma a che giova stigmatizzare se non si fanno degli esempi?

Partiamo dunque dall’accoglienza intesa come ingresso in città, che tra parentesi è terza, dopo Milano e Torino – per altro realtà metropolitane di ben altre proporzioni – per volume di export e dunque “abbiente” e capace di muovere anche grandi flussi di persone.

Il turista che giunga in treno si trova in una stazione che, pressoché unica tra quelle di certe dimensioni, non ha al suo interno un singolo negozio funzionante quando invece Padova e Verona – per limitarci ad esempi prossimi – hanno il supermercato, diversi bar e ristoranti e negozi vari.

A Vicenza sopravvivono, e per miracolo, solo il tabaccaio e la caffetteria: il resto degli spazi commerciali approntato con l’ultima ristrutturazione ormai ventennale sono da sempre sale da ballo per i sorci.

Uscendo dalla triste stazione si è accolti da una rotatoria che nasconde la bella quinta alberata data da Viale Roma dietro un “monumento” che più ad onore degli Alpini sembra un omaggio ad Harry Potter tanto somiglia al boccino del Quidditch: non esattamente un gran biglietto da visita.

E che dire del fatiscente ex chiosco che potrebbe essere adibito ad ufficio informazioni turistiche?

Per chi arriva in auto ed ha la sventura di uscire dall’autostrada a Vicenza Ovest l’arrivo in centro può trasformarsi in un incubo soprattutto in concomitanza con gli eventi programmati dal polo fieristico e capaci di paralizzare il traffico soprattutto in orario d’ufficio.

Non fa differenza se si tratti di “Abilmente” o “Vicenza Oro” perché la coda di veicoli intasa interamente non solo la tangenziale, ma tutte le strade fino a Corso San Felice.

Giunti in centro il provincialismo diventa gastronomico.

Se andate a Treviso l’aperitivo si fa con “cicchetti caratteristici” che promuovono prodotti locali – basti pensare a Cartizze e porchetta –, lo stesso succede a Bassano del Grappa costellata di deliziose piccole enoteche, per non parlare della cosmpolita Trieste e i paninetti col bollito con una birretta.

A Vicenza no, pare che servire sopressa e pan biscotto accompagnati da un rosso di Gambellara con vista sulla Basilica Palladiana sia un peccato mortale e dunque via a “proposte” fantasiose preparate con ingredienti esotici, “tapas” invece di spunciotti, tramezzini al salmone di Tonga al posto di un crostino col musetto e il cren e così via, il tutto a portare disvalore nel segno di un’inutile “raffinatezza”.

Non va meglio neppure con i negozi tipici: i “casoini” sono praticamente spariti – il tutto a vantaggio di franchising enogastronomici uguali tra di loro in tutta la galassia – mentre basta andare a Padova per ritrovare il gusto della botteghetta che vende non solo al turista le specialità delle campagne vicine.

Idem per la ristorazione “alta”: se si vuole mangiare una pizza “gourmet” a trentacinque euro non c’è problema, lo stesso se ci si vuole abbuffare di presunto giapponese, ma per un bollito come si deve o un piatto di bigoli ci si deve spostare fuori città, perché su Colli Berici le trattorie sono ancora numerose e la loro offerta è davvero intrigante.

Perché si devono rinnegare le proprie origini, soprattutto quando sono nobilissime? Questo è provincialismo…

Alla luce dei fatti si potrebbe concludere che esiste un “provincialismo” positivo, capace di valorizzare tutto quello che si ha di buono, la tradizione intesa nell’accezione più alta del termine, abbandonando di contro quello “parvenu” che porta a preferire l’erba del vicino che non è sempre più verde, soprattutto quando si parla di accoglienza e buon vivere.

Riuscirà Vicenza Città Bellissima a rendersi davvero degna del suo nome, offrendo non solo al turista ma anche ai vicentini stessi un’immagine che le renda giustizia esaltandola?

Se ci si lavora un po’ su allora sicuramente sì, e allora avanti tutta e “più sopressa per tutti”.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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