8 Aprile 2020 - 12.45

Veneto: troppe aziende aperte in deroga, il rischio contagio torna a preoccupare

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I numeri

Oggi i numeri sono quelli stimati, in parte, e quelli forniti dalla Prefettura di Vicenza: riguardano le aziende che hanno chiesto di poter riaprire i cancelli a partire da lunedì 6 aprile per continuare la loro attività, pur sospesa inizialmente a causa del Covid-19. L’agenzia di stampa Askanews, che riferisce dati ottenuti da fonte sindacale, parla di 14 mila imprese del Veneto che avrebbero ripreso l’attività in questa settimana, facendo tornare in fabbriche, ditte e aziende un numero imprecisato e pur altissimo di lavoratori. La prefettura di Vicenza, invece, con un comunicato ufficiale diffuso nella serata del 2 aprile scorso, parlava di 3250 aziende che avevano presentato richiesta per la prosecuzione del lavoro. Per far fronte alla mole di lavoro, il Prefetto ha disposto il rientro al lavoro di personale collocato in smart-working, ha delegato verifiche alla guardia di finanza e alla camera di commercio. Verifiche puntuali sono state affidate anche ai vigili del fuoco per quanto riguarda le aziende a ciclo continuo. In questo modo, alla data del 2 aprile, erano state verificate 2500 posizioni e solo sette aziende avevano ottenuto il via libera a riprendere il lavoro, mentre per tre attività era stata disposta la sospensione d’imperio, dal momento che non erano state giudicate strategiche né meritevoli di riapertura (una stireria, un’azienda artigianale di produzione di mobili, una di posa in opera di infissi). 


Le valutazioni 
Dai pochi dati disponibili si può comunque tentare di lanciare alcuni ragionamenti. Fra le imprese che hanno presentato richiesta, nel Vicentino, e quelle effettivamente esaminate c’è comunque una differenza di 750 unità. L’esame di 2500 posizioni ha portato ad autorizzare una parte minima di coloro che avevano fatto richiesta, mentre l’incrocio con le posizioni di coloro che si sono visti opporre un rifiuto, porta a pensare che un po’ tutti abbiano tentato la strada di farsi autorizzare dalle Prefetture, anche sapendo che non sarebbe stato possibile. Non bisogna poi dimenticare che – nella materia – vige il diabolico sistema del “silenzio assenso”. A fronte di una mole immensa di richieste, alle istituzioni sono stati concessi pochissimi giorni per effettuare un esame accurato, trascorsi i quali chi non avesse avuto risposta esplicita può considerarsi autorizzato a procedere con la riapertura dell’azienda e la ripresa della produzione. Possiamo davvero pensare che tutto sia stato considerato e che ogni apertura sia stata valutata nei suoi effetti e riflessi? Il dubbio, pur senza voler assolutamente criticare l’efficienza dei funzionari pubblici in servizio nelle Prefetture, è legittimo. 


Le conclusioni 
L’effetto è sotto gli occhi di tutti. Il deserto assoluto che si vedeva la scorsa settimana, non è più così assoluto. L’effetto di pausa di ogni attività viene messo in discussione dalle molte auto che circolano e che portano da casa al lavoro e ritorno i tanti lavoratori che sono stati richiamati al lavoro. Attenzione: questa considerazione non può essere considerata il male assoluto. La vicenda del contagio, della sua diffusione e del suo contenimento ci hanno insegnato almeno una lezione importante. I diritti costituzionalmente garantiti sono soggetti ad una continua opera di bilanciamento e la loro somma deve sempre dare zero. Mi spiego: la libertà degli individui, in questo periodo, è stata compressa in modo rilevante ma in questo modo si è data tutela prioritaria e maggiore al diritto alla salute. La libertà di impresa ed economica ha dovuto cedere il passo, a sua volta, al diritto di tutti di non contrarre il pericoloso virus Covid-19. Se si esalta un diritto, l’altro deve necessariamente cedere proporzionalmente il passo. Ecco allora che, se oggi più aziende stanno lavorando non può essere un male in sé, si tratta di un diritto che riprende a funzionare. Eppure c’è un dubbio. Il nuovo bilanciamento è stato frutto di un attento e puntuale esame, tale da garantire che i sacrifici fatti da tutti in queste settimane non vengano improvvisamente vanificati? Se il blocco delle attività è stato disposto con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il comitato scientifico, è possibile che la forzatura del blocco avvenga con il meccanismo del “silenzio assenso”? Non sarà un po’ rischioso far uscire dalla quarantena un gran numero di persone proprio nel momento in cui i dati stavano dando ragione a chi aveva chiesto un rigoroso distanziamento sociale? Mi rendo conto che tornare a lavorare significa uscire magari dalla cassa integrazione, uscire dalla quarantena ormai insopportabile, garantire stipendi adeguati e non decurtati per i lavoratori. MI rendo conto di tutto, ma cosa saremo costretti a dire se domani mattina il bollettino dell’Azienda Zero tornasse a dirci che il contagio ha ripreso vigore?Tutto questo pone inquietanti interrogativi anche circa la decretazione d’urgenza e certe voci che si alzano un po’ da tutte le categorie e che chiedono meno burocrazia, meno “lacci e lacciuoli”, procedure semplificate e assenza di controlli. Lo facciamo ogni volta e ogni volta, purtroppo, ci capita di scoprire che qualcuno ne ha approfittato.

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