4 Novembre 2013 - 15.16

VENETO CRIMINALE- La mappa del grande crimine a Nord-Est

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di Alessandro Ambrosini

Mafie e criminalità in Veneto non sono cose che si scoprono oggi. Da anni il problema è un problema vero, silenziato dalla quotidianità del lavoro e da una vita agiata che ha coperto ciò che era evidente solo agli occhi più attenti.
Erano gli anni ’70 quando uno Stato ancora poco “abituato” alle dinamiche mafiose mandò al confine nei territori dove lo sviluppo era ancora agli albori, il gotha della mafia in quel momento: da Salvatore Badalamenti, nipote del potente “Don Tano”, a Totuccio Contorno,da Gaetano Fidanzati, uno dei punti di riferimento di Cosa Nostra a Milano, ad Antonino Duca, fedelissimo del boss Lucianeddu, il corleonese Luciano Liggio. La convinzione di chi fece queste scelte era quella che, disarticolando le cosche al sud e mandando capi e luogotenenti lontano dalla Sicilia, si potesse disgregare la “Cupola” che teneva in scacco l’intero Meridione. Scelta che però non tenne conto dello spirito espansionistico della piovra mafiosa che si insinuò in profondità nel tessuto politico e istituzionale permettendo, nel tranquillo Veneto, di creare una crocevia criminale di altissimo valore e promuovendo, in parte, quella che sarebbe poi diventata la “Mala del Brenta”: unico caso di organizzazione criminale , nel Nord Italia, ad essere marchiata come associazione a delinquere di stampo mafioso.
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Un parterre importante quindi, che, negli anni, ha creato strutture organizzative e presupposti perché il Nord-Est diventasse un limbo per “fare business” senza “fare troppo rumore” e, contemporaneamente, un buen retiro dove nascondersi in caso di latitanza. Il Veneto di allora rasentava la perfezione: le stazioni dei carabinieri erano poche e con personale abituato più alla criminalità locale che non a quella organizzata e violenta; estorsioni e pizzo erano parole sconosciute e pronte a confondersi ed annegare nel mare di droga che arrivò a inondare le città, con le rapine agli orafi, alle banche. Questa regione diventò il luogo ideale per gli affari di molti. E’ in questo contesto che tutte le organizzazioni, nel tempo, hanno fatto capolino e si sono insediate nelle terre che furono della Serenissima.
Da una mappa pubblicata da Monica Zornetta, saggista e giornalista veneta esperta della tematica, abbiamo una suddivisione sul modello di un Risiko criminale che vede coinvolte tutte le città, nessuna esclusa. Verona: con la presenza della ‘ndrangheta (cosca Dragone/Arena), dei casalesi e dei clan camorristici Aniello/ Fiumara Licciardi. A Padova, che rappresenta un pò il fulcro in cui stazionano rappresentanze di quasi tutte le organizzazioni, troviamo Cosa Nostra e il potente clan dei Lo Piccolo, i casalesi, le forti mafie nigeriane, cinesi e dell’est Europa. Nella città del Palladio, a Vicenza, oltre alla mafia che vide l’arresto di Piddu Madonia, potentissimo boss della Cupola di Cosa Nostra, riconosciamo gli onnipresenti casalesi, la ‘ndrangheta e la potente mafia albanese. A Treviso abbiamo i camorristi del clan Moccia, i mafiosi del clan Laudani e Lo Piccolo, la criminalità cinese ed elementi delle ‘ndrine calabresi. In laguna e nell’entroterra veneziano è molto forte la mafia cinese che alberga spesso nei Casinò di Mestre e di Cà Vendramin, i clan camorristici dei Licciardi a Portogruaro e San Donà di Piave, insieme agli uomini di Scampia del clan Di Lauro e ad elementi di ‘ndrangheta. A Rovigo è Cosa Nostra, che da anni si è stabilizzata nel territorio mentre Belluno merita un discorso a parte. Tra Cortina e Misurina sin dagli anni ‘80 sono state investite somme ingentissime nella costruzione di multiproprietà che han visto la mafia siciliana ed elementi di spicco della Banda della Magliana diventare impresari edili tramite faccendieri e prestanomi. Oggi sono presenti sia la ‘ndrangheta che la camorra con il clan Licciardi.
Questa, ad oggi, è la pianta delle presenze criminali organizzate nel Veneto, mappa che si avvicina alla realtà ma che non include la criminalità autoctona, nomade e quella dei colletti bianchi: una quinta mafia che non ha dialetti o casacche ma che è forse la più pericolosa perché la più invisibile. Sotto le nostre illusioni si nasconde quello che non vogliamo vedere ma che è vivo come il peggiore dei tumori, per una terra e un popolo: il male della verità.

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