28 Giugno 2022 - 10.36

Un tabù italico

Avete mai sentito parlare di “gabbie salariali”?

Le gabbie salariali nascono con un accordo firmato il 6 dicembre 1945 tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. 

Nel 1954 il Paese intero viene diviso in 14 zone nelle quali si applicavano salari diversi a seconda del costo della vita.  

Nel 1972, in conseguenza di una progressiva e sempre più forte opposizione di sindacati e lavoratori, che le consideravano discriminatorie e poco eque, questo sistema venne definitivamente abolito.

Sicuramente a livello teorico pagare diversamente per la stessa prestazione un lavoratore di Milano rispetto ad uno di Reggio Calabria potrebbe apparire come una palese ingiustizia, ma l’abolizione delle norme sulle gabbie salariali non ha certo cancellato le differenze del costo della vita, che sono oggettive, tanto da essere rilevate e certificate mensilmente dall’Istat (Rilevazione territoriale dei prezzi al consumi).

Io ritengo che l’uguaglianza retributiva dei lavoratori sia un principio di alto valore morale, ma ciò non mi impedisce di trovare ingiusto che a paghe uguali corrisponda un differenziale dei prezzi al consumo, e quindi del costo della vita, fra le diverse aree del Paese, che raggiunge livelli non trascurabili, tali da far sì che con lo stesso stipendio in certe aree geografiche un nucleo familiare riesca a vivere dignitosamente, ed in altre tiri faticosamente la fine del mese. 

Non è colpa di nessuno, ma non credo si possa negare che vivere a Milano o a Vicenza costi molto di più rispetto a Potenza o Campobasso.

Certo l’ideologia, le istanze ugualitarie sono una cosa, ma i numeri, i freddi numeri sono un’altra.

Ed i numeri riferiti al 2021, elaborati da un autorevole quotidiano economico su dati Istat, certifica un aumento della spesa media delle famiglie italiane: 2.437 euro, in ripresa del 4,7% sul 2020. 

Ma ad aumentare è stato anche il divario territoriale, in quanto la differenza tra la crescita al Nord (+5,7%) e quella del Sud (+3,5%) è di oltre due punti percentuali.

Una differenza che, tradotta in euro, certifica che al Nord le famiglie nel 2021 hanno speso 677 euro in più al mese rispetto a quelle del Mezzogiorno.

E con gli stipendi medi italiani capite che non è cosa da poco!

Tanto per fare un esempio che dà l’idea del divario, la voce affitto nelle province settentrionali arriva a essere oltre sei volte superiore rispetto a quelle meridionali.

Non è teoria, provate a cercare casa a Milano e ad Avellino, e toccherete con mano la differenza.

Ma credetemi che il gap territoriale dei prezzi è evidente anche in altri settori, come ad esempio il costo di pizzerie e ristoranti.

So bene che si tratta di un discorso difficile, peloso, che si presta ad essere strumentalizzato.

Infatti ogni qual volta qualcuno prova a sollevare la questione viene zittito, spesso insultato, e subissato di accuse che vanno dall’antimeridionalismo alla volontà di schiavizzare i cittadini del Sud. 

Ma nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi non è il miglior modo per risolvere i problemi.

Tanto più che si tratta di un fenomeno presente un po’ in tutti i Paesi, anche nella mitica Germania, dove il costo della vita è nettamente più basso nei Lander dell’est (quelli ex DDR) rispetto a quelli dell’ovest.

Forse varrebbe la pena di non parlare più di “gabbie salariali”, termine piuttosto odioso, sostituendolo ad esempio con “capacità di reddito parametrata al territorio”.

In Germania hanno cercato di risolvere il problema spingendo molto sulla contrattazione di secondo livello, legata alla produttività territoriale.

Ciò ha permesso ai tedeschi di avere capacità di reddito parametrata al territorio, con una capacità di economia reale molto più forte della nostra.

So già che da noi non se ne farà nulla, perché siamo ancora troppo legati a vecchi schemi ideologici di impronta marxista, per cui il differente costo della vita fra aree del Paese è una sorta da tabù, un argomento da “chi tocca i fili muore”.  

Ma se ci pensate bene, vi siete mai chiesti perché i nuovi insegnanti dopo aver preso servizio nelle regioni del Nord, fanno carte false per ritornare al Sud?

Non credo che a spingerli sia solo la nostalgia del sole e del mare, della pizza e del mandolino, ma anche la constatazione che al Nord la vita costa molto di più che al Sud dove, con lo stesso stipendio, ci si può premettere qualcosa in più.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA