3 Febbraio 2023 - 9.38

PILLOLA DI ECONOMIA – Dopo la Germania riarma anche il Giappone

di Umberto Baldo

ll 13 luglio 2022, in un pezzo pubblicato da questa testata con il titolo “L’Europa ed il riarmo tedesco”, commentavo il fatto che l’aggressione russa all’Ucraina imponeva alle classi dirigenti di ogni Paese un serie esame circa l’adeguatezza del proprio apparato difensivo ai nuovi scenari.   E che il primo Stato europeo a rendersi conto di avere strutture militari arretrate, inefficienti, e comunque bisognose di una profonda rivisitazione, è stata la Germania, che solo tre giorni dopo l’attacco delle armate di Putin ha annunciato un enorme piano di riarmo per l’esercito tedesco, modificando persino la Costituzione. 

Ricordo che mio papà, classe 1924, quindi chiamato alle armi nel 1943 a 19 anni, quando si parlava di cose militari mi ripeteva spesso: “ricordati che  non si dovrebbe mai mettere  un fucile in mano ad un tedesco e ad un giapponese!”.

Indubbiamente si riferiva alla tradizione militarista ed imperialista di questi due popoli, che riassumerei in “Prussia e Samurai”, ma a guardar bene si può dire che questi timori di mio padre sono stati a lungo condivisi anche dagli Stati Uniti, che almeno fino ad ora avevano mostrato una netta contrarietà ad un eventuale riarmo della Germania e del Giappone, tanto da imporre, dopo la fine delle seconda guerra mondiale, nelle Costituzioni di entrambi i Paesi pesanti limitazioni al riarmo  e ad eventuali politiche militari aggressive. 

Ma si sa che in politica internazionale  gli equilibri cambiano continuamente, e la guerra in Ucraina ha posto numerosi Paesi nella necessità di domandarsi se l’ombrello difensivo Usa fosse ancora adeguato alla mutata realtà, ma altresì ha costretto gli Stati Uniti a rendersi conto di quanto sia diventato per loro insostenibile il ruolo di “gendarme del mondo”, vista la molteplicità di “fronti caldi” in cui si trovano ad operare, soprattutto nel Pacifico.

Se ricordate il problema lo aveva posto sul tavolo, con la “grazia” che lo contraddistingue, Donald Trump, quando minacciò di abbandonare la Nato se gli altri Paesi alleati non avessero aumentato le proprie spese militari almeno al 2% del Pil.

Da qui discende il ripensamento nei confronti del riarmo della Germania, messo in cantiere con il chiaro beneplacito degli Usa.

Ma lo scacchiere mondiale è in realtà una sorta di domino, e le crescenti tensioni nell’area del Pacifico, con una Cina sempre più aggressiva, una Corea del Nord fuori controllo, una Russia imprevedibile, hanno sicuramente fatto maturare agli Usa la necessità di rivalutare il Giappone da potenziale minaccia ad alleato strategico.

E’ evidente che Tokyo non aveva certamente bisogno di incoraggiamento, viste le molteplici minacce alla propria sicurezza che si trova ad affrontare in contemporanea; dai test missilistici nordcoreani, alle navi della guardia costiera cinese che invadono le sua acque territoriali  (fra l’altro Taiwan dista solo 110 chilometri dall’isola nipponica di Yonaguni),  alla militarizzazione russa delle contese isole Curili  (conosciute in Giappone come Territori del Nord).

E così quando l’attuale primo ministro giapponese Fumio Kishida ha recentemente svelato un piano ambizioso per raddoppiare il budget della difesa del Paese  a 43 trilioni di yen (330 miliardi di dollari), circa il 2% del PIL giapponese per i prossimi cinque anni, dando vita al più grande programma di riarmo del paese dalla fine della seconda guerra mondiale, non si è innescata alcuna reazione  negativa nella politica e  nella pubblica opinione.

E ciò perché il terreno era già stato preparato da tempo dallo scomparso ex premier Shinzo Abe, tragicamente ucciso da un concittadino lo scorso luglio. 
Nazionalista pragmatico, audace sperimentatore, Shinzo Abe è sicuramente stato  il politico che, col suo “pugno di ferro”, ha segnato più di qualunque altro laeder il Giappone postbellico. 

La sua  ferma avversione alla Cina e alle due Coree, l’attrazione filoamericana, il deciso militarismo, il nazionalismo revanchista, l’audace sperimentalismo economico, gli scandali: tutto questo è stato Shinzo Abe nella sua longeva guida del Paese.  

E se con  la sua politica  si è inimicato liberali e pacifisti in patria, e ovviamente alcuni  Paesi vicini, ha saputo però riportare il Giappone sulla scena internazionale, al fianco delle democrazie occidentali.

L’attuale premier Kishida, con la nuova annunciata strategia di sicurezza nazionale, che rappresenta sicuramente uno spartiacque nella storia post-bellica del Giappone, in fondo non fa altro che cercare di portare a compimento il disegno programmatico di Abe. 

Si tratta di un passaggio fondamentale su cui il Giappone non potrà evitare di tornare a riflettere, perché senza una convinta, e convincente, adesione ai valori individuati dal Governo in “libertà, democrazia, diritti umani, supremazia del diritto, ordine internazionale basato sulle regole”, rischierebbe di causare pericolosi fraintendimenti non solo con i Paesi vicini, ma persino all’interno della stessa società nipponica.

Non ci resta quindi che prendere atto che  le nuove tensioni in questo mondo sempre più multipolare, cui la guerra in Ucraina rischia da fare da detonatore, stanno imponendo anche a Tokyo una nuova dottrina politica estera, improntata sul “realismo” piuttosto che sull’idealismo pacifista (rappresentato comunque al Governo dal Partito di ispirazione buddista Komeito).

E le notizie sul riarmo generale che sta interessando un po’ tutti i Paesi dovrebbe preoccuparci, perché la storia ci insegna che, da che mondo è  mondo, le armi non si fabbricano per lasciarle negli arsenali, e prima o poi le si usa. 

Per concludere un accenno all’aspetto economico dall’annunciato riarmo nipponico. 

Il premier Kishida inizialmente prevedeva di finanziare l’aumento della spesa militare aumentando le tasse sui redditi personali, sui profitti aziendali e sul tabacco. 

Ma poiché le tasse non piacciono neppure ai cittadini dell’ex Impero del Sol Levante, c’è stata una levata di scudi che lo ha costretto al rinvio.

I contrari sostengono che l’aumento del bilancio della difesa dovrebbe essere finanziato con l’emissione di nuovi titoli di stato, in linea con le idee e la politica economica di Shinzo Abe.

Ma a parte che il rapporto debito/pil già supera il 250%, anche se lo stesso è quasi totalmente nelle mani dei residenti, il suo ulteriore aumento potrebbe mettere sotto pressione il rating Sovrano del Paese.

Certo finché il debito pubblico sarà detenuto principalmente da istituzioni nazionali e famiglie risparmiatrici, è plausibile  che il Paese non abbia motivo di temere un’improvvisa crisi fiscale innescata dal panico e dalle vendite. 

Ma il fatto che sia improbabile che il Giappone vada in default in tempi ravvicinati non significa che il suo percorso attuale sia sostenibile;  le generazioni future dovranno inevitabilmente sostenere i costi della sua follia di spesa finanziata con il debito, almeno fino a quando la popolazione del Paese in rapida diminuzione renderà questa strategia impraticabile.

Se ci pensate bene è lo stesso dilemma fiscale dell’Italia.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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