26 Gennaio 2023 - 9.35

PILLOLA DI ECONOMIA – Dal pistacchio all’olio d’oliva la Spagna ci ha surclassato

Umberto Baldo

Vi sarete certamente resi conto che mi capita spesso di scrivere che i veri politici pensano ai decenni a venire e alle nuove generazioni, mentre i politicanti guardano alle elezioni più vicine.

Detta così potrebbe sembrare vuota retorica, ma credetemi che basta osservare attentamente come si muovono certi leader, o certe classi politiche, per capire a quale delle predette categorie appartengano.

Volete un esempio semplice semplice?

Cominciamo parlando di pistacchio, un tipo di frutta secca che immagino tutti conosciate ed apprezziate.

Negli ultimi anni la domanda mondiale ha subito una notevole escalation, e a soddisfarla non sono più solo i grandi produttori storici (ossia Stati Uniti e Iran), ma anche nuovi competitor che hanno puntato su questa coltivazione, e  si sono accaparrati importanti quote di mercato.

Fra questi spicca la Spagna, che fra il 2013 ed il 2021 ha decuplicato le superfici coltivate a pistacchi, diventando così il primo produttore della Ue davanti a Italia e Grecia (55mila ettari spagnoli contro i nostri 3.862 – Fonte Ismea).

Certo magari i nostri pistacchi di Bronte saranno forse i migliori, ma si tratta comunque di una produzione di nicchia; ma qui parliamo di grandi numeri.

Ma se allarghiamo il campo e passiamo dal pistacchio all’olio di oliva la crescita della Spagna è stata addirittura sbalorditiva.

Alla fine degli anni ’80 gli spagnoli si resero conto che gli europei si stavano orientando verso la dieta mediterranea e, con lo sguardo rivolto al futuro, decisero di investire massicciamente sugli uliveti.

Sorprendentemente la produzione di olio d’oliva in pochi anni passò da 400mila a 1,5 milioni di tonnellate, diventando così la Spagna il principale interlocutore delle multinazionali che operano nell’alimentare, tipo la Unilever (per capirci in  Italia detiene i  marchi Sasso, Dante, San Giorgio).

Oltretutto in questo modo la politica spagnola offrì a due delle regioni più depresse del Paese, Extremadura ed Andalusia, l’opportunità di trovare una  loro nuova vocazione produttiva.

Posso testimoniarlo, perché ho visto con i miei occhi, girando tutto il sud della Spagna, oliveti ovunque a perdita d’occhio.

Non va sottaciuto che la Spagna realizzò questa operazione sfruttando al massimo (allora erano più generosi di adesso) i Fondi europei per l’agricoltura, così che a ben guardare l’olivicoltura iberica è decollata anche con soldi nostri.

E nel mentre a Madrid guardavano avanti, al futuro, cosa facevamo voi in Italia?

Ma semplicemente nulla, mantenendo l’estrema frammentazione sia delle superfici coltivate ormai vetuste, che dei produttori, spesso addirittura dopolavoristi,  e ciò nel solco della nostro sedimentato provincialismo che  considera le nostre cose le migliori di mondo (dalla Costituzione all’olio di oliva ecc.), senza percepire che invece il mondo cambia. 

Come succede troppo spesso, i nostri Demostene sono cioè rimasti a parlare a vanvera, senza rendersi conto che la leadership italiana sull’olio d’oliva stava semplicemente evaporando ad opera degli intraprendenti spagnoli.

Ma volete sapere la cosa più sorprendente?

A rendere possibile l’ascesa spagnola è stato un italiano, l’agronomo Giuseppe Fontanazza, il massimo esperto mondiale del settore oleario allora direttore dell’Istituto di ricerche sull’olivicoltura di Perugia, che propose invano la “ricetta spagnola” (spiantare i vecchi olivi aumentando le superfici coltivate) ad una lunga serie di Ministri dell’Agricoltura del nostro Paese, ed alle Associazioni di categoria.

Come sempre avviene nel Belpaese nessuno lo ascoltò.

Altro fulgido esempio di lungimiranza politica dei nostri Demostene.

A Madrid Fontanazza trovò invece orecchie attente,  politici capaci di fare sistema, che si mossero subito per trovare i soldi (come vi ho detto anche dall’Europa) e a mettere a terra il progetto in tempi rapidi.

Sapete già, e se non lo sapete ve lo dico io, come è andata a finire: che la Spagna è attualmente il primo produttore ed esportatore “mondiale” di olio d’oliva.

E di conseguenza il 30% dell’olio di oliva che finisce nelle nostre tavole proviene della Spagna.

E se questo non vi basta sappiate che Coldiretti da tempo denuncia che c’è più olio spagnolo che italiano nelle bottiglie riempite a livello nazionale, che in 2 casi su 3 contengono prodotto straniero proveniente per oltre il 60% dalla Spagna, il 25% dalla Grecia, ma per quasi il 10% da un paese extracomunitario come la Tunisia.

E che queste “miscele” fra oli stranieri ed oli nazionali  servono per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri.

Per limitare tutto ciò  sarebbe bastato avere una classe politica degna di questo nome, ma io al riguardo confesso di aver perso ogni speranza.

E poi magari qualcuno pensa che esageri quando sostengo che questo nostra Italia non ha futuro!

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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