1 Febbraio 2023 - 9.52

PILLOLA DI ECONOMIA- Gran Bretagna: dalla Brexit alla Bregret

di Umberto Baldo

Ieri, 31 gennaio 2023, è stato il terzo anniversario dell’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea.

Una ricorrenza trascorsa senza festeggiamenti; perché gli inglesi non hanno alcun motivo per festeggiare, in quanto i tre anni trascorsi da quel 31 gennaio 2020, quando l’addio all’Europa divenne effettivo, hanno dimostrato a mio avviso quanto sia stata cinica la classe politica che ha promosso la Brexit, un gruppo dirigente determinato cioè a vendere consapevolmente agli elettori un sogno che sapevano equivalere all’ “olio di serpente” o alla “polvere di fata”.

Magari più avanti ne parleremo più approfonditamente, ma in estrema sintesi cosa ha portato la Brexit agli inglesi?

“Una contrazione del 4% della produttività di lungo periodo rispetto alla permanenza nell’UE (previsione dell’Ufficio per la Responsabilità del Bilancio), l’inflazione e i prezzi dell’energia sono più alti che nella Ue,  la diminuzione di quasi un quinto del commercio, mentre lo stesso governo afferma che il tanto strombazzato accordo australiano aumenterà il PIL di meno dello 0,1% all’anno  entro il 2035.   Oltre che ad un aumento dei prezzi del cibo del 6%, ed un prosciugamento della forza lavoro.   Persino  Eurostar lascia deliberatamente vuoto un terzo dei posti  nei treni a causa di paralizzanti ritardi alle frontiere UE/Regno Unito.”

Non le scrivo io queste cose; sono parole che ho tratto pari pari da un articolo di The Guardian, uno dei quotidiani britannici più diffusi.

Usando un’espressione di altri tempi, questi tre anni hanno rappresentato per i sudditi di sua Maestà Britannica il passaggio “dalla poesia alla prosa”, un triennio in cui si è via via diffusa e consolidata la “disillusione”.

Piano piano anche i più accesi sostenitori della Brexit cominciano ad ammettere che finora l’uscita dall’Europa è stata un disastro. 

E piano piano, in contrapposizione al termine Brexit (Britain Exit) si sta imponendo la parola “Bregret”, formata dalla B di Brexit e Regret, che significa rimpianto. 

E questo nuovo sentimento viene fotografato chiaramente da uno degli ultimi sondaggi d’opinione, condotto da Focaldata su un campione di 10.000 persone in tutto il Paese, alle quali è stato chiesto se erano d’accordo o in disaccordo con l’affermazione “La Gran Bretagna ha sbagliato a lasciare la Ue”.

Il risultato, impietoso ed inequivocabile, è stato che in tutti i collegi elettorali della Gran Bretagna (il sondaggio non comprendeva le contee dell’Irlanda del Nord) tranne tre, la maggioranza del 57% degli elettori si è espressa nel senso che la Brexit sia stata un errore. 

E si badi bene che non è che questo sondaggio possa essere liquidato come un’eccezione. 

Perché un’altra recente rilevazione per l’Independent ha rilevato che quasi due terzi dei britannici sosterrebbero ora un referendum sul rientro nell’UE, e la  domanda di tracciamento di YouGov “avevamo ragione o torto a lasciare l’UE?” è fortemente orientato verso il torto.

E sicuramente non è un caso che, sulla base di queste rilevazioni, si veda chiaramente  che “Bregret” è cresciuto più rapidamente in particolare tra gli elettori più anziani, e in molte delle aree più povere,  cioè proprio fra quelli che più convintamente avevano  votato in massa per l’uscita dalla Ue nel 2016.

Gli scozzesi già si erano espressi contro la Brexit, come gran parte degli abitanti di Londra; adesso si sta aggiungendo la maggioranza dei cittadini di 647 circoscrizioni elettorali su 650. 

Sarebbe però un errore tradurre automaticamente questa “disillusione” in una volontà degli inglesi di fare un dietro front.

I britannici non hanno mai amato la Ue, ed infatti altri sondaggi di opinione dell’Indipendent e del Guardian dicono che solo un 43% voterebbe a favore di un rientro nella Ue.

E non è un caso che né i conservatori (e ci mancherebbe visto che la frittata l’hanno fatta loro) né i laburisti dall’opposizione osino riaprire in questa fase qualsiasi dibattito su problematiche ipotesi di un “ritorno” nelle braccia di Bruxelles.

Ma allora?

La mia impressione è che agli inglesi non sia la Brexit in sé a non piacere, bensì le conseguenze viste finora, che sono di fatto quasi esclusivamente economiche.

Infatti la situazione economica della Gran Bretagna, cui la Brexit sta costando circa 100 miliardi di sterline all’anno (124 miliardi di dollari), risulta nettamente peggiore  delle sue controparti europee, e dei Paesi del G7 e del G20.  

Un’analisi governativa dice che la Gran Bretagna perderà il 4% di Pil entro il 2026 a causa della Brexit, e che le esportazioni britanniche verso l’Europa sono calate del 16%, e le importazioni del 20%.  Per non dire che senza la libera circolazione con i paesi Ue sono centinaia di migliaia i posti vacanti nella logistica e nell’accoglienza, e che questa carenza di lavoratori  ha messo in crisi anche il sistema sanitario.

Di fatto l’unico Paese messo peggio è la Russia, a causa della guerra, il che mostra che con la Brexit è come se la Gran Bretagna si sia imposta da sola sanzioni economiche.

Il Regno Unito non solo ha perso l’accesso al mercato unico europeo, ma anche i vantaggi di tutti i trattati di libero scambio che la UE ha fatto con Paesi extracomunitari. 

La  prospettiva poi che l’Inghilterra sarebbe stata in grado di concludere ottimi trattati con altri Paesi era stata venduta dai “venditori di serpenti” come Boris Johnson come uno dei grandi vantaggi della Brexit. 

Ma fino ad ora, dei grandi trattati con gli Stati Uniti, India e Cina, nemmeno l’ombra; quello firmato con il Giappone da Liz Truss è praticamente uguale a quello che aveva tramite la UE, e in effetti il commercio con il Giappone sta calando. I trattati con l’Australia e la Nuova Zelanda, sempre firmati da Liz Truss, (una specie di Regina Mida al contrario) addirittura danneggiano l’economia britannica, mentre favoriscono questi due Paesi.

Non meraviglia quindi se l’anniversario dei tre anni dalla Brexit non sia stato oggetto di particolari festeggiamenti in quel di Londra.

Ovviamente i conservatori al Governo cercano di sdrammatizzare, ed  il nuovo premier  Rishi Sunak, ha di recente dichiarato “So che la Brexit può offrire, e sta già offrendo, enormi benefici e opportunità per il Paese”.

Il problema è che purtroppo non è in grado di spiegare agli inglesi quali sono!

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
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