8 Febbraio 2023 - 9.39

PILLOLA DI ECONOMIA – Unione Europea: l’Italia prima dava, ora riceve e passa da contributore e percettore netto

Umberto Baldo

In fondo prima o poi doveva succedere, e con l’attribuzione al nostro Paese degli oltre 200 miliardi del Pnrr era quasi scontato; vale a dire che l’Italia non è più un contributore netto dell’Unione Europea, bensì un percettore netto.

Cosa vuol dire?

Per capirlo bisogna partire da un’altra domanda: dove prende i soldi l’Europa per il proprio bilancio?

Semplicissimo, dagli Stati membri: più precisamente il bilancio dell’UE è finanziato da una percentuale del reddito nazionale lordo (RNL) di ciascun Paese in funzione della propria ricchezza, dai dazi doganali comuni sulle importazioni dall’esterno dell’Unione, e da una piccola parte dell’Imposta sul Valore Aggiunto riscossa da ciascun paese dell’UE.

Quei soldi fanno poi una specie di percorso di “andata e ritorno”: nel senso che come abbiamo visto gli Stati finanziano l’UE in base a una programmazione stabilita ogni sette anni, e a sua volta l’Unione devolve agli Stati e direttamente a cittadini, enti e imprese una parte di quelle risorse. 

Ne deriva che,  sulla base di quanto ricevono dall’Unione, i singoli Stati si dividono in “percettori netti”, quelli che ricevono più di quanto danno, e “contributori netti”, che invece versano all’Unione più di quanto ricevono.

Il cambio di “status”, per chiamarlo così, da contributore a percettore netto, lo ha certificato in questi giorni la Corte dei Conti, che nella sua relazione annuale sui rapporti finanziari Italia/Ue spiega che nel 2021 l’Italia ha versato alla Ue un importo pari a 18,1 miliardi, mentre la Ue ha destinato al nostro Paese risorse per 26,8 miliardi, di cui 10,2 legati al Pnrr.

Di per sé si tratta di un mero dato contabile, che però, inutile nasconderlo, ha un certo rilievo politico.

Infatti sono certo che molti di voi ricorderanno che una delle polemiche più accese tipiche dei  “sovranisti de noaltri” era proprio relativa al fatto che  si lamentavano di un’Europa che “prende senza dare”, privando il nostro Paese (pardon la Nazione) di risorse, mentre le “burocrazie di Bruxelles” legiferavano sulle dimensioni delle vongole, sulla concorrenza nelle concessioni balneari, e simili quisquiglie (a loro giudizio ovviamente).

Saranno quindi felici adesso alcuni di questi nostri Demostene, che guarda caso in questo momento governano il Paese, che l’Italia sia entrata a far parte di quel Gruppo di Paesi che “finalmente” prendono dalla Ue più soldi di quelli che versano.

Al netto dell’opportunità offerta dai fondi per il Pnrr, che dovrebbero consentire all’Italia di fare un salto di qualità, in  realtà a me non sembra proprio una notizia di cui gioire.

L’Italia resta ancora il terzo Paese del G7 dell’Unione Europea, è ancora la seconda manifattura del Continente, è soprattutto uno dei sei  Stati Fondatori  delle “Comunità europee” (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania Ovest).

Non sono cose da sminuire, anzi, e nella geografia dell’Europa i Paesi contributori netti sono sempre stati alla fine i Paesi più ricchi, e quindi politicamente più forti: Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia, Irlanda.

Quindi il cambio di schieramento, appunto da contributore a percettore netto, che mi auguro transitorio, a mio avviso se da un lato non deve portarci a stracciarci le vesti, non deve neppure indurci ad urlare di gioia, perché in ogni caso significa che la nostra Italia è un Paese più povero.

E ciò dovrebbe indurre tutta la nostra classe politica ad impegnarsi con scelte avvedute, per far sì che l’Italia possa ritornare nelle fila dei Paesi che danno più di quello che ricevono, perché non ne hanno bisogno.

Ma permettetemi un’altra considerazione. 

Queste annose e divisive polemiche trovano la loro fonte nella visione provinciale con cui la nostra politica in generale percepisce la nostra partecipazione alla Ue. 

Perché solo con una logica bottegaia, ragionieristica (non me ne vogliano negozianti e ragionieri) si può valutare la nostra partecipazione all’Europa misurandola soltanto con i Fondi attribuiti direttamente al nostro Paese, sotto forma di “Fondi strutturali” o sovvenzioni agli agricoltori.

Lo so bene che, anche per gli egoismi nazionali e le miopie degli altri Paesi membri, l’Europa comunitaria non è quella che i veri europeisti sognavano.

Ma io penso da sempre che uno Stato dovrebbe aderire alla Ue non solo pensando ai Fondi (agli schei), ma ai benefici o “beni pubblici europei” che questa adesione porta con sé, come il poter partecipare ad un mercato unico di 450 milioni di persone, come le opportunità di muoverci senza ostacoli all’interno di questo spazio comune come turisti, lavoratori o studenti, come la possibilità di affrontare sfide come il clima, l’intelligenza artificiale o il terrorismo; apprezzando quindi le direttive europee che permettono all’aria di essere più pulita, ai giocattoli e agli elettrodomestici di essere più sicuri, al nostro patrimonio culturale di esser più protetto ecc. 

Per fare un solo esempio concreto, se con i fondi Ue attribuiti ad un altro Stato membro per fare un ponte, una ditta italiana vince il relativo appalto, contabilmente i soldi vanno a quel Paese, ma in realtà il beneficio va anche alla nostra impresa ed ai suoi lavoratori, ed a noi che prima o poi quel ponte potremo percorrerlo.  

Se pensiamo a tutto questo capite bene che il “fattore contabile “ diventa miope e fuorviante.

Ecco perché “volare alto”, credendo nel futuro dell’Europa, significa investire nel nostro orizzonte comune, in uno spazio comune economico, politico, sociale, scientifico che, comunque la si veda, è nell’interesse dall’Italia e delle nuove generazioni di italiani.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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