Turismo alle stelle? O solo titoloni con numeri tirati ai dadi?

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Umberto Baldo
Titolo di giornale, pochi giorni fa, a caratteri cubitali, e con l’enfasi di chi ha appena scoperto l’acqua calda: “Dopo anni di cautela, il turismo nazionale esplode”.
Un’esplosione, sì. Tipo quelle dei cartoni animati: tanti fuochi d’artificio, poi si scopre che erano petardi.
Secondo questo ottimistico bollettino di guerra (vinta), sarebbero ben 30,5 milioni di italiani in viaggio tra giugno e settembre.
Altro che recessione, altro che inflazione!
Il Belpaese si scopre una gigantesca agenzia viaggi.
Qualcuno posta quel titolone su LinkedIn e – toh – si scatena il dibattito: ma com’è possibile che un popolo ormai descritto ovunque come sull’orlo della povertà assoluta si conceda vacanze come se non ci fosse un domani?
C’è chi cita la resilienza, chi la voglia di evasione (in tutti i sensi), chi parla di rinunce su altri fronti, molti di denaro accumulato ai tempi del boom economico.
Io, invece l’ho buttata lì, fuori dal coro, così commentando: “Mi sembra che nessuno finora abbia toccato un tema per me fondamentale e dirimente. I dati dell’IRPEF ci dicono che mezza Italia non paga tasse, o molto poche, e vive sulle spalle dell ‘altra metà, che oltre a pagare fino all’ultimo cent, anno dopo anno viene privata di qualunque bonus o facilitazione. Qualche altro milione gode della Fiat tax. Se aggiungiamo 80 miliardi di evasione mi sembra che il quadro si componga. C’è una massa di denaro che gira senza alcun controllo, esentasse, e non stupisce quindi che venga utilizzato anche per viaggi d vacanze. Per quanto riguarda i numeri dei “vacanzieri “ (termine orrendo) mi sembra che siano dati tirandoli ai dadi”.
Certo, mentre alcuni festeggiano il boom turistico, altri, più seriamente, ricordano che la vacanza è tornata a essere un lusso.
Altro che diritto.
Secondo altri dati solo il 43,2% degli italiani potrà permettersi una vera vacanza estiva, e anche tra questi, la metà opterà per soggiorni mini, magari ospiti della zia Maria o del cugino che ha ancora una casa al mare pre-mutuo.
Ma ecco il paradosso servito su piatto freddo: mentre gli italiani restano a casa (o al massimo a due passi da essa), il fatturato del settore turistico cresce.
Grazie a chi? Ma agli stranieri, ça va sans dire.
Ormai sono loro a tenere in piedi il carrozzone: 55% delle presenze negli hotel, borghi trasformati in showroom, Venezia clonata ovunque.
E chi vive nelle località turistiche?
Beh, si arrangi. Prezzi alle stelle, servizi contingentati, residenti espulsi.
Viva l’accoglienza, ma anche un po’ di logica non guasterebbe.
Io, che abito ad Abano Terme, sento il termalismo pulsare da vicino.
Un giorno gli albergatori annunciano il tutto esaurito, con le fanfare di Capodanno o dei “Ponti”.
Qualche giorno dopo, la litania: “presenze in calo, clienti mordi e fuggi, solo weekend, commercio in crisi…”.
Insomma, la solita altalena tra trionfalismo e piagnisteo, come da copione.
Ma allora, cari amici, ci mettiamo d’accordo o no?
Il perché di questa necessità è evidente.
Le aziende che operano nel turismo sull’onda del marketing comunicano dati e percentuali rilevati dalle proprie piattaforme o servizi con l’obiettivo principale di rafforzare il proprio brand. Ognuna di queste realtà osserva il mercato da una specifica angolazione: i tour operator monitorano le loro partenze e prenotazioni, i vettori aerei contano i passeggeri trasportati, le piattaforme online tracciano le interazioni degli utenti con le loro offerte. Ciò determina inevitabilmente un punto di vista limitato, non esteso all’intero sistema turistico. In altre parole le aziende private che rilasciano dati e statistiche, in particolare tour operator e piattaforme online, lo fanno per un motivo chiaro: farsi pubblicità.
Così le informazioni diffuse alimentano la reputazione del marchio, creano interesse e spesso cercano di posizionare il brand in modo positivo nel dibattito pubblico.
Perché se ogni operatore turistico spara i propri numeri a casaccio – dai tour operator che contano solo i propri pacchetti, alle piattaforme che tracciano click come se fossero camere prenotate – la fotografia del turismo nazionale sembra più un collage mal incollato che una radiografia attendibile.
Guardate che non è un problema di truffa.
È proprio un problema di prospettiva: ciascuno guarda dal proprio buco della serratura, e pretende di descrivere l’intera casa.
Così nascono titoli sensazionalistici, comunicati “da record”, previsioni da oracolo di Delfi.
Ora mi chiedo: non sarebbe il caso di centralizzare e validare i dati in un unico contenitore pubblico, neutrale, aggiornato?
Tipo l’Istat, o enti che non abbiano come mission il posizionamento marketing?
Perché, ribadiamolo, chi rilascia certi numeri lo fa per farsi pubblicità, non per spirito di verità.
Ripeto: i numeri non sono per forza falsi. Sono parziali, interessati, monchi. Coerenti nel loro orticello, ma inutili per capire la foresta.
E quindi un’ ultima considerazione (poi vi lascio tornare alla prenotazione su Booking); quando leggete certi titoli trionfali: “Italia meta top”, “Estate da record”, “Esplode il turismo”, fate un respiro profondo. E prendeteli con le pinze. Anzi con la tenaglia.
Perché, come sempre, la verità la scopriremo a settembre. E scommetto che l’euforia di luglio finirà sotto l’ombrellone…..bucato.
Umberto Baldo













