8 Marzo 2022 - 8.39

Questo deve essere l’8 marzo delle donne e della ragazze dell’Ucraina

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Parlare dell’8 marzo, della Festa della donna scorrendo le cronache, e guardando le immagini raccapriccianti che ci giungono dall’Ucraina invasa, oserei dire “stuprata” dai tank, dai missili, dalle bombe di mortaio, di quella che fu la gloriosa Armata Rossa che contribuì a sconfiggere Hitler ed il nazismo, mi sembra quasi di compiere un sacrilegio.
Perchè è proprio la parola “Festa” che suona inappropriata, inadatta, dissonante, con la realtà che stanno vivendo sulla loro pelle le donne ucraine.
Suonerebbe stridente parlare di festeggiamenti, di raduni, di cene, come si fa ogni anno in questa ricorrenza, avendo negli occhi i volti disperati di Fedor e Marina Yatsko mentre corrono all’ospedale di Mariupol (che è senza corrente elettrica, dove le visite si fanno alla luce dei cellulari) con in braccio il loro piccolo Kirill, un bambino di 18 mesi, per il quale non c’è stato nulla da fare.
Come spiegare a Marina che oggi è l’8 marzo?
Come spiegarlo alle madri di quei bambini che sono costretti a vivere e a giocare nei sotterranei della metropolitana di Kiev, assieme ad altri 15mila disperati, e che sono obbligate a risparmiare l’acqua per sterilizzare i biberon dei loro neonati?
Eppure queste donne stanno dando un esempio a tutti noi, al mondo intero, di una grande dignità e coraggio.
Perchè ci vuole coraggio a portare il proprio figlio di 9 anni al confine per metterlo in salvo, affidarlo al padre, e girarsi per ritornare a Kiev per imbracciare un kalashnikov e partecipare alla resistenza. E’ quello che ha fatto Inna Sovsun, deputata al parlamento ucraino, e non credo ci voglia molta immaginazione per comprendere il dramma di una madre che saluta un figlio, lo bacia e lo accarezza, sapendo che forse quella sarà l’ultima volta che lo vede.
Certo le donne che decidono di non combattere se possono fuggono dalla guerra, con quel poco che ci sta in un trolley, andando verso un futuro ignoto in altri Paesi.
Ma lo fanno salutando i mariti che restano per difendere quello che noi ormai consideriamo quasi un concetto desueto e ottocentesco, ma che nell’Ucraina di oggi è ancora capace di unire la gente, quello di Patria.
Quella Patria che spinge le madri a voler combattere per la libertà, persino al prezzo di non vedere crescere i propri figli.
Non credo ci sia scelta più atroce di questa per una donna.
Certo lo so bene che tutte le guerre sono tristemente uguali. Che immagini di bambini stretti nell’abbraccio della morte le abbiamo viste in Afghanistan, in Libia, in Sudan, in Siria, nel Corno d’Africa, in Yemen, e dovunque in questi anni si è combattuto e si combatte.
Ma purtroppo le leggi della cronaca sono impietose, e quella che rimane negli occhi è l’ultima immagine, quella di Kirill, perchè era una creatura innocente, che come ogni bambino rappresentava il futuro di tutti noi.
Le donne raramente fanno la guerra, le donne la subiscono, perchè a deciderla sono sempre gli uomini.
E non è un caso se, nell’Europa pur guidata da Ursula Von der Leyen, Christine Lagarde e Roberta Metsola, attorno ai tavoli di guerra russi e ucraini ci sono solo uomini.
Non ci sono donne laddove si decide di guerra, di bombardamenti, di confini, di misure di emergenza, di resistenza. Non ci sono donne dove l’umanità sofferente non conta nulla, e contano solo territori da controllare, armi da usare, nemici catturati, confini da ridisegnare.
Lo so che parlando di queste cose si rischia di cadere nella vuota retorica.
Ma non c’è retorica nella foto di una madre che abbraccia la figlioletta addormentata in un giaciglio nella metropolitana di Kiev, non c’è retorica nelle maestre che poco più in là cercano di distrarre i bimbi con matite e disegni, non c’è retorica nella vicenda di Nina che, incinta al nono mese, scappata dall’inferno di Kiev arriva a Como dopo due giorni di viaggio e dà alla luce Maria, non c’è retorica nella storia di Elena, lavoratrice ucraina in Sicilia, che dopo l’inizio dell’aggressione russa, parte e con un viaggio rocambolesco durato molti giorni, rientra in Ucraina per portare in salvo la figlia.
No, non c’è retorica negli stupri bellici denunciati dalle donne ucraine ai loro danni perpetrati dai militari russi!
Ecco perché questo 8 marzo 2022 non può che essere dedicato alle donne ucraine, perchè rappresentano l’emblema di un’umanità violata.
Ma assieme a loro voglio mettere anche le donne russe, forse quella minoranza che non condivide la politica aggressiva di Putin.
Come Yelena Osipova, un’ottantenne sopravvissuta all’assedio nazista di Stalingrado, che è scesa in piazza a San Pietroburgo per protestare contro la guerra, e che per questo gesto è stata arrestata dalla polizia russa.
O come Natasha, la mamma di quel soldato ragazzino russo preso prigioniero, cui i civili ucraini offrono cibo, un tè caldo, ed un telefono con il quale chiamare casa.
Il ragazzo, nel sentire la voce della mamma scoppia in lacrime, nel mentre una ragazza ucraina dice alla madre “Non ti preoccupare Natasha, tuo figlio è vivo e sta bene. Ti richiameremo più tardi”.
C’è tutta l’umanità di cui è capace una donna in quella frase rassicurante per una madre russa in ansia per il proprio figlio.
Quell’umanità che in questo momento sembra cancellata dall’Ucraina.
Si è fatto un gran parlare nei giorni scorsi, a mio avviso a sproposito di Dostoevskij, del quale mi piace ricordare in chiusura questo passaggio ne “I fratelli Karamazov”: “La vita è un paradiso, e noi tutti siamo in paradiso, ma non vogliamo capirlo; e invece, se volessimo capirlo, domani stesso il mondo intero diventerebbe un paradiso”.
Nonostante tutto, buon 8 marzo donne e ragazze dell’Ucraina; perchè anche se non possiamo abbracciarvi o donarvi una mimosa, tutte voi siete nei nostri cuori e nei nostri pensieri.

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