5 Giugno 2015 - 8.07

POLITICA – Perché Renzi pur vincendo ha perso le elezioni regionali

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, Palazzo Chigi, Roma, 10 luglio 2014. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, Palazzo Chigi, Roma, 10 luglio 2014. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

di Marco Osti

Doveva finire 6-1 per il centro sinistra e invece è finita 5-2.
Non si tratta del risultato di una partita di tennis e nemmeno di una di calcio rocambolesca ed emozionante.
E’ l’esito della sfida elettorale che si è svolta la scorsa domenica nelle sette regioni Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Campania, Puglia, rispetto alla quale il premier Matteo Renzi, qualche settimana prima, aveva sostenuto che sarebbe finita con sei vittorie dei candidati del centro sinistra.
Una affermazione che peraltro si è rilevata improvvida e deleteria per la candidata del Pd in Veneto Alessandra Moretti, da tutti gli osservatori indicata come quella che Renzi dava ormai perdente, provando poi a sostenerla con una gita a Vicenza rivelatasi improduttiva.
Infatti in Veneto la vittoria del governatore uscente Luca Zaia è stata dirompente, con una percentuale di consenso più che doppia rispetto a quella che ha raccolto la candidata Pd.
Le previsioni del premier sono state però smentite dal risultato arrivato in Liguria, dove è prevalso Giovanni Toti, candidato di Forza Italia per il centro destra, che ha battuto Raffaella Paita, esponente del Pd, arrivata a contendersi per il centrosinistra lo scranno regionale più alto, dopo elezioni primarie che hanno lacerato il suo partito, da cui si è dimesso Sergio Cofferati, peraltro uno dei fondatori storici.
Un sostegno alla Paita esplicito e continuato, non rifiutato, ma addirittura concordato, da parte di personaggi dichiaratamente di centro destra, se non qualcuno di estrema destra, sono stati il segnale per l’ex segretario generale della Cgil di un Pd su una strada, da lui non condivisa, di rinnegamento delle sue basi di sinistra.
La maggioranza renziana del Pd accusa la minoranza di sinistra di avere favorito il centro destra, contestando la linea del Governo e, come nel caso della Liguria, presentandosi con un candidato alternativo, che ha tolto consenso a quello deciso dalle primarie.
Una tesi sostenuta anche da diversi osservatori, che hanno assimilato questo comportamento a quello che tenne Rifondazione Comunista di Bertinotti quando di fatto fece mancare la maggioranza al Governo Prodi e minò l’esperienza di centro sinistra dell’Ulivo.
Ci sono differenze evidenti tra le due situazioni, innanzitutto perché quella sinistra oggi è scomparsa in termini di rappresentatività e quella attuale è organica al Pd e ne è anzi fondatrice, quindi è l’espressione di un pensiero che allora subì le politiche intransigenti di una componente estrema, che non voleva di fatto essere governativa.
Inoltre allora si cercò in tutti i modi di coinvolgere quella sinistra, mentre in questo caso la maggioranza renziana non è passato giorno che la sua sinistra non l’abbia attaccata, emarginata, offesa, considerandola superata, perdente, inutile al progetto del Pd guidato dal presidente del Consiglio, che ha infatti posto in atto politiche chiaramente vicine a logiche di centro destra.
In questi mesi di Governo Renzi ha cercato di smantellare il rapporto con i corpi intermedi della società, ha attaccato e provato a delegittimare il sindacato, ha forzato una riforma della scuola rifiutata da insegnanti e operatori del settore perché introduce dinamiche di aziende private in istituzioni pubbliche, ha introdotto modifiche nel mercato del lavoro che hanno limitato i diritti dei lavoratori, di fatto precarizzando il rapporto a tempo indeterminato, ha voluto una legge elettorale che in nome della governabilità emargina le opposizioni e di fatto continua indebolisce chi nel suo partito la pensa diversamente da lui.
Non si sta quindi comportando come un presidente del Consiglio e un segretario di partito che prova ad aggregare, ma persevera nel tentativo di sconfiggere i nemici e a trovare alleanze diverse per raggiungere il suo scopo principale, che lui dice essere cambiare il Paese, ma in molti casi appare unicamente vincere.
Per vincere alle elezioni regionali ha accettato che si candidasse in Campania Vincenzo De Luca, che per una condanna in primo grado e l’applicazione della legge Severino non potrà esercitare il ruolo.
Per vincere ha accettato in Liguria che Raffaella Paita fosse appoggiata da personaggi del centro destra, come del resto a livello nazionale ha utilizzato il Patto del Nazareno e in generale prova a trasformare il Pd nel partito della Nazione, raccogliendo consensi al centro e a destra.
Per vincere continua a impersonare il ruolo del rottamatore, quando da presidente del Consiglio dovrebbe oggi essere un costruttore.
Le elezioni regionali però hanno scalfito questo progetto, sebbene lui finga di avere vinto.
E su questo punto verte la questione che ha portato il Pd a perdere molto del 40% del consenso, che aveva fatto registrare alle precedenti elezioni europee, con il calo di oltre due milioni di voti.
Infatti i risultati di Veneto e Liguria dimostrano che se il centro destra, dalla Lega Nord a Forza Italia, si presenta unito, seppure rabberciato, comunque prevale, a dimostrazione che l’elettorato, tra un Pd che si sposta da sinistra e i partiti da sempre nello schieramento opposto scelgono gli originali.
Il forte consenso mantenuto dal Movimento 5 Stelle conferma che se le persone vogliono sostenere chi è contro il sistema si schierano con chi lo è per sua natura e non con un Pd di lotta e di Governo.
Il voto ha inoltre dimostrato un calo del partito del premier nella sua Toscana e che in Campania e in Puglia il centro sinistra ha vinto per il consenso che raccolgono personalmente i candidati Vincenzo De Luca e Michele Emiliano.
A tutto ciò va poi aggiunta una ulteriore crescita di elettorato che ha preferito astenersi.
La scelta più logica di Renzi dovrebbe quindi essere quella di compattare il partito e trovare una condivisione sui vari temi con la componente più a sinistra, in uno spirito di inclusione che avrebbe in realtà dovuto perseguire dall’inizio, essendo del Pd anche il segretario.
Il problema è che il premier crede che la sinistra sia perdente e quindi non la vuole includere nel suo progetto.
Riemerge quindi, ancora una volta, la questione se il Pd sia il partito di Renzi, nel quale lui si riconosce.
Il suo tentativo di trasformarlo sembra dimostrare che non sia così, ma il voto allo stesso tempo ha dimostrato che l’elettorato di centro destra a cui Renzi guarda continua a preferire i partiti storici di tale schieramento, piuttosto che il suo rielaborato.
Insomma la vittoria del set decisivo delle elezioni regionali doveva chiudere la partita e lanciare definitivamente il progetto renziano, di un superamento del Pd verso il partito della Nazione.
Ma la sconfitta del game in Liguria e le modalità della debacle in Veneto lasciano ancora il match aperto e tutto da giocare, con nuove incognite che si profilano per il premier, a partire dal percorso sulla riforma della scuola.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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