6 Luglio 2023 - 11.30

Orrori veneziani: la città più bella in balìa del turismo straccione

Venezia: croce e delizia

di Alessandro Cammarano

Il degrado di Venezia è questione lungamente dibattuta, così come le possibili soluzioni per porvi rimedio: se il primo procede spedito le seconde sono da sempre al palo.

Per comprendere a fondo quali siano le problematiche è necessario trascorrere qualche giorno come “ospite” della Serenissima, vivendola in diverse ore del giorno, calandosi nel tessuto urbano, magari scambiando pure due chiacchiere con qualche residente – solitamente ben disposto alla “ciacoea” – così da potersi fare un’idea il più possibile precisa riguardo alle reali condizioni nelle quali la città versa; ed è quello che ho fatto la scorsa settimana, tre giorni di immersione totale.

Si sperava che dopo la tragica parentesi dovuta al Covid, responsabile dell’azzeramento dei flussi turistici per due anni, i visitatori sarebbero ritornati copiosi ma in qualche maniera “migliorati”; e invece no.

Non si pretendeva un ritorno dei tempi d’oro del Grand-Tour o almeno dei viaggiatori colti e rispettosi delle peculiarità della città lagunare – che definire “unica” non è retorica –, ma almeno di un pubblico perlomeno cosciente di quanto vede e visita.

Quello che ci si trova davanti sono orde assatanate di incivili che mangiano ovunque, magari facendosi il pediluvio in un rio quando non direttamente sul Canal Grande, che schifano i musei – ho potuto visitare in tranquillità le rinate Gallerie dell’Accademia e il Museo Correr senza dover fare file o imbattermi in capannelli chiassosi davanti ai quadri esposti – ma adorano i negoziacci che vendono ogni sorta di porcate.

Ultima moda i self service di schifosissime cose gelatinose e dolcissime, e dalle dimensioni ciclopiche letteralmente presi d’assalto dal visitatore occasionale.

Le colpe vanno però, per dovere di cronaca, equamente divise tra il turista e la città stessa, che invece di controbattere con tutti i mezzi possibili a questa vera invasione incolta e stracciona si è messa in piena sintonia diventando una sorta di orrido parco dei divertimenti in grado di soddisfare qualunque perversione turistica.

Il visitatore diventa dunque un pollo da spennare – tanto mangia e beve qualsiasi cosa, in tutti i sensi – e dunque, oltre alle gelatinazze giganti di cui sopra – trova orridi tranci di pizza plastificata, improbabili cannoli “siciliani” dall’aria mesozoica e ripieni di creme di colori nemmeno presenti nel Pantone, si abbevera con bottigliette d’acqua a tre euro e si fa un pranzo a menù fisso a venticinque euro con tre portate appena uscite dal freezer.

Poi ci sono i souvenir: le preferenze, oltre all’immancabile cappello da gondoliere, vanno ai vetri di MuLano, con la L perché l’isola dei maestri soffiatori non l’hanno mai vista neppure in cartolina, provenendo tutti da operosi distretti industriali cinesi.

E che dire delle sistemazioni alberghiere? Qui le colpe dei veneziani sono inenarrabili.

Sorvolando sui prezzi degli alberghi, almeno raddoppiati rispetto allo scorso anno allorquando il turismo ripartiva, lo scandalo è dato dal proliferare di B&B – leggasi Bed and Breakfast – ma soprattutto di case private, ma anche di soffitte e sottoscala, offerte in affitto per brevi periodi e che spesso sono al limite dell’inabitabilità.

Si sa, il dio denaro è parecchio attraente e i veneziani sono mercanti nati, però a tutto c’è un limite.

Resta da dire degli scandalosi trasporti pubblici: i vaporetti, alla modica cifra di nove euro e cinquanta centesimi a tratta sono una rapina legalizzata, costantemente strapieni, oberati di valigie quasi al limite del baule da traversata transatlantica e dunque invivibili.

Il biglietto a tempo, valido settantacinque minuti, si esaurisce tra attese vane, spintoni di energumeni foresti e sguardi d’odio dei residenti.

Chi scrive si va sempre più convincendo che al turismo in Laguna si debba porre un limite e lo si debba fare presto.

Venezia è un museo a cielo aperto, non è retorica ma realtà, e come tale andrebbe trattata sia da chi ci vive sia da coloro che la visitano: dunque ben venga il numero chiuso, le cui forme andrebbero concordate tra istituzioni, operatori culturali e operatori turistici, ascoltando anche chi – purtroppo sempre meno – a Venezia ancora abita; dunque non i tornelli o altre simili ridicolaggini ma piani seri, meditati e condivisi, ricordando che la qualità del turista la si fa anche con la qualità dell’offerta.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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