11 Agosto 2023 - 9.04

Meloni, ecco chi sono i tuoi veri nemici!

Di norma ogni leader politico ha un “nemico” dichiarato, un avversario che tende a scalzarlo per sostituirlo al “potere”, quello con la P maiuscola.
E’ così da sempre, dall’epoca romana con Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Ottaviano e Marco Antonio, e così via nei secoli a seguire.
Un altro esempio a noi vicino?
Emmanuel Macron, il Presidente francese che da sempre ha in Marine Le Pen un avversario irriducibile.
Ma come dicevo, gli esempi potrebbero essere innumerevoli.
Ed in questa Italia del primo governo di destra del dopoguerra?
Chi è il nemico di Giorgia Meloni?
Uno sarebbe portato a dire Elly Schlein, o forse con un po’ più di riluttanza Giuseppe Conte.
Ma, questa è solo una mia convinzione ovviamente, Schlein e Conte li percepisco come personaggi senza un progetto politico compiuto, che tendono a cavalcare le onde e le emozioni del momento, senza un’idea di Paese che non sia divisiva, che riesca cioè a parlare e a tenere assieme tutte le variegate componenti della società italiana.
No, a mio avviso i veri “nemici”, in senso metaforico ovviamente, la premier li ha all’interno del suo Partito.
Non perché vogliano scalzarla, ma semplicemente perché la classe politica di Fratelli d’Italia è palesemente inadeguata al compito di gestire la complessità di un Paese avanzato come il nostro.
E non è un caso se tutti i suoi sforzi, lodevoli e per certi versi finora riusciti, di accreditarsi come un leader europeo affidabile e competente, si infrangano con le gaffes (a voler essere buoni) degli uomini e delle donne che è stata costretta a mettere a capo di strutture istituzionali anche assai delicate.
Le recenti dichiarazioni di Marcello De Angelis sui responsabili della strage di Bologna sono solo l’ultimo tassello di una serie di uscite imbarazzanti per Giorgia Meloni.
E basta citare le parole del Presidente del Senato Ignazio La Russa relativamente alle accuse al figlio, per arrivare a situazioni come il caso Santanché, quella di Donzelli e Delmastro, e di alcune altre, sempre emblematiche.
Non ne faccio ovviamente una colpa alla Meloni, che nell’ambito della sua parte politica è e resta, come dicono a Roma, “er mejo fico del bigonzo”.
Quello passa il convento, quello è il materiale umano, la classe dirigente del suo partito da cui ha dovuto giocoforza pescare, e non ci sono rimedi a breve termine, se non cercare di tenere strette le briglie, limitando per quanto possibile fughe in avanti, o prese di posizioni e dichiarazioni spiacevoli e spiazzanti.
La conseguenza più evidente è che Giorgia Meloni sembra aver deciso di non fidarsi di nessuno, se non dei pochi fedelissimi che fanno parte della sua cerchia familiare; dalla sorella Arianna, moglie del Ministro Lollobrigida, che ha in mano il tesseramento ed è entrata nel Cda della Fondazione An (in pratica ha le chiavi del Partito), al capo del suo staff a palazzo Chigi Patrizia Scurti.
Come non è un caso se per alcuni ruoli chiave abbia dovuto scegliere personalità come Raffaele Fitto al Pnrr (un uomo che non viene certo dalla destra di FdI), e confermare al loro posto vecchi commis di Stato, dall’ Eni alle Poste, passando per la Ragioneria Generale, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia del Demanio.
Ha dovuto cioè prendere atto che la droite non ha manager all’altezza di quegli incarichi!
La verità è che oltre all’impreparazione di fondo dei suoi amici, la premier si scontra con le oggettive difficoltà di mettere in piedi in tempi rapidi una classe dirigente all’altezza della situazione, soprattutto non costruita quasi esclusivamente sulla base della fedeltà a vecchie prassi, vecchie amicizie, vecchie ideologie, vecchie frequentazioni, vecchie appartenenze, spesso alquanto imbarazzanti.
Il problema vero che per un’operazione del genere ci vuole tempo, perché una classe politica veramente in grado di governare senza gaffes o errori marchiani, avendo in mente il bene della collettività e non quello di parte, sarebbe necessario formarla come un tempo la formavano i Partiti che oggi non ci sono più, sperimentandola poi in un cursus honorum che partiva dalle funzioni minori (tipo i consigli comunali) per via via promuovere i migliori a quelle di vertice.
In realtà a questo punto il discorso a mio avviso andrebbe allargato, perché vi sono ragioni strutturali e sistemiche dietro alla visibilissima caduta nella qualità umana ed intellettuale dell’intera classe politica italiana.
Io credo che la cosa sia evidente ascoltando un qualsiasi telegiornale della Rai, quando nel “pastone” politico vengono proposte interviste ad esponenti di tutti i partiti.
Osservando bene ci si rende conto che questi “onorevoli” recitano semplicemente un copione scritto da altri, parlando per slogan, frasi fatte, concetti preconfezionati triti e ritriti.
A parte qualche rara eccezione, sembrano più marionette che uomini di Stato!
Ma d’altronde questo è il frutto di anni e anni di svilimento della funzione parlamentare, sublimato nel famoso concetto grillino dell’ ”uno vale uno”.
E come poteva essere diversamente?
Le persone veramente competenti hanno poca voglia di entrare in Parlamento, e così si impone la figura del parlamentare mediocre, miracolato dal suo Capo partito, che si limita a esser felice perché per cinque anni potrà sbarcare il lunario senza porsi altri problemi, con la sola preoccupazione di essere rieletto.
Se ci pensate bene la rielezione del riluttante Sergio Mattarella nel 2022, con l’impossibilità di trovare un’altra figura non divisiva all’altezza del ruolo presidenziale, diede la misura del fallimento della classe politica che è stata espressa, sin dalla fine degli anni Novanta, dalle attuali Forze politiche.
Partiti che forse sarebbe meglio chiamare per quello che sono stati e sono: aggregati casuali della post-politica, via via sempre meno orientati da valori generali, e sempre più invece dalle ambizioni personali dei loro leader (non a caso nei simboli si trova scritto “Per ……. Presidente)
Ecco perché, parlando delle difficoltà della Meloni con i suoi compagni di Partito, rapportandola alla situazione generale della politica, viene in mente il detto “Se Atene piange, Sparta non ride”.
Perché, comunque la si pensi, mi sembra evidente che siamo all’atto finale di una degenerazione iniziata qualche decennio fa, che ha portato i partiti di allora a ritirarsi dal terreno della società civile, nella quale erano nati storicamente, e si erano consolidati dopo il conflitto mondiale.
Che fare?
Non è facile immaginare nell’immediato un cambio di rotta, che presupporrebbe di poter selezionare una classe politica diversa da quella attuale, formandola nei giusti tempi, promuovendo i migliori e scartando quelli palesemente inadatti.
Ma tutto questo non sarebbe sufficiente se nel Paese, fra i cittadini, non maturasse un profondo ripensamento intellettuale e soprattutto morale, che accetti e valorizzi le competenze di chi ha i requisiti, che riconosca il valore dell’impegno e del merito individuale, che va premiato e non misconosciuto, che non costringa le eccellenze che pur abbiamo a cercare la propria realizzazione in altri Paesi.
Ecco spiegato il perché, a mio avviso, delle difficoltà “interne” di Giorgia Meloni, che forse si è già resa conto che governare il Paese non vuol dire semplicemente occupare i Ministeri, gli Enti pubblici, la Rai; in pratica che non è un gioco da ragazzi o peggio da dilettanti allo sbaraglio.
Perché senza una classe dirigente all’altezza l’Italia non avrà un futuro!
Umberto Baldo

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