23 Aprile 2024 - 10.10

Le fabbriche di armi non sono una vergogna. Sono la nostra assicurazione!

Non sono certo caduto dalle nuvole, anche se in verità un po’ mi ha inquietato, leggere alcune dichiarazioni del nostro Ministro della Difesa Guido Crosetto in una recente intervista ad un giornale on line. 

Anche perché nelle sue parole ho trovato la conferma di quanto sostenuto dall’ex premier Enrico Letta, che nell’ambito di un suo “Report sul futuro del mercato unico” commissionatogli dalla Ue, a proposito del problema della difesa comune ha detto papale papale: “«Abbiamo bisogno  che la difesa si ingrandisca sul lato industriale, c’è un grande argomento di scala industriale, e dobbiamo finanziare i bisogni. Se non siamo in grado di crescere, continueremo con questa vergogna dell’80%, o più precisamente del 78% delle forniture militari non europee che abbiamo acquistato come europei”.

Non ha usato mezzi termini Letta, perché è veramente una vergogna che il continente potenzialmente più ricco, e fra i più industrializzati del mondo, non sia in grado di provvedere “in proprio” alla produzione degli armamenti che servono alla propria difesa, e così non solo dipenda da altri Stati, ma contribuisca ad arricchire le loro economie.

E, come accennavo, Crosetto a questa  precisa domanda: “Se l’Italia o un altro Paese europeo subisse un attacco come quello sferrato dall’Iran contro Israele, saremmo in grado di difenderci?” ha risposto con un “NO” secco e deciso.

A chi sia magari sfuggito, ricordo che l’Iran non ha attaccato Israele con truppe di terra (come fatto da Putin in Ucraina), ma lanciando in contemporanea circa 300 fra droni e missili armati. 

Che poi l’attacco non abbia provocato danni particolari, non solo perché il sistema anti missili israeliano ha funzionato a dovere, ma anche  perché gli obiettivi erano nel deserto del Negev, e soprattutto perché di fatto era stato “annunciato” dagli Ayatollah, non cambia i termini della domanda, alla quale Guido Crosetto ha risposto appunto con il suo “No” netto ed inequivocabile.

E ha spiegato il perché, specificando che allo stato attuale l’autonomia difensiva dell’Europa è pura utopia, per tutta una serie di concause, che cerco di riassumervi di seguito.

Comincio da quella che sembra la più banale, la polvere da sparo.

Capite bene che questo “ingrediente” è essenziale per qualsiasi tipo di munizione, sia che parliamo del kalashnikov che del missile supersonico.

Per fare la polvere da sparo serve però il salnitro (nitrato di potassio) la cui produzione e commercializzazione abbiamo delegata alla Cina, che controlla dal 50 al 70% del mercato globale, e  le cui due aziende leader del settore sono attualmente sotto sanzioni da parte del Governo Usa.

Ne consegue che in queste condizioni noi europei facciamo fatica a procurarci la polvere da sparo necessaria per produrre quei 200/300 mila proiettili che servono ogni anno.

Ma il bello è che le sanzioni non hanno certo messo in crisi queste fabbriche cinesi, per il semplice motivo che ci sono altri Stati impegnati in conflitti cui serve la polvere da sparo, in primis la Russia di Putin, che viene rifornita alla grande, ed in tempi rapidissimi, visto che Cina e Russia oltre tutto sono confinanti.

Se poi passiamo ai chip la situazione è ancora più ridicola.

Come è successo un po’ per tutti i prodotti, con la globalizzazione abbiamo pensato di delegare ad “altri” certe produzioni. 

In tempi di pace era sicuramente più conveniente per noi europei delocalizzare la fabbricazione dei circuiti integrati in quel di Taiwan, dato il basso costo della manodopera; genialata che per di più consentiva anche lauti guadagni alle nostre imprese.

Per un certo periodo ha funzionato, finché, prima per i blocchi dovuti alla pandemia, adesso per le minacce degli Houthi dello Yemen, le consegne sono meno sicure, e molto più lente quanto ai tempi.

Ce ne siamo accorti con le automobili, la cui consegna dobbiamo aspettare per mesi.  

Figuratevi le difficoltà che incontrano ad esempio le imprese che fabbricano armi anche per l’Ucraina!

Ci sono poi i tempi della produzione.

Crosetto ha portato questo esempio: “L’Italia ha ordinato sistemi di batterie missilistiche Samp-T due anni fa e l’industria che ha la commessa mi dice che ce li consegna fra tre anni. Si può difendere un paese con questi tempi?”.

Ha sicuramente ragione, tanto più che ormai l’Europa è costretta a confrontarsi con potenze come la Cina o la Russia, dove basta un semplice ordine di Pechino o Mosca per trasformare nel giro di qualche settimana un’azienda di frigoriferi in una fabbrica di missili.

Qui ci tocca parlare inevitabilmente di politica industriale.

A mio avviso nelle nostre società, condizionate pesantemente da opinioni pubbliche orientate ad un “pacifismo” a volte ottuso a volte ignorante, facciamo finta che le fabbriche di armi non esistano, oppure le consideriamo aziende di cui vergognarci.

In realtà si tratta di aziende non solo come tutte le altre, ma forse anche meglio delle altre, visto che si servono delle migliori tecnologie, che danno lavoro, e producono utili per gli azionisti.

Ma come tutte, per poter programmare l’aumento della produzione, queste  industrie hanno bisogno di certezze di investimento sul lungo periodo. 

Nel senso che se loro investono in nuovi laboratori, nuove sedi produttive e assumono centinaia di persone, quali garanzie hanno che l’Italia, tanto per fare un esempio, nel tempo, gli compri le armi od i missili ordinati.  

Non è che se finisce improvvisamente la guerra in Ucraina, nei Palazzi romani cambiano idea? 

O magari arrivano nuovi governanti che scelgono di deviare le risorse destinate alle armi verso qualche genialata tipo il “Superbonus 110%”!

E’ chiaro che vanno ripensate le filiere produttive in funzione della nuova geopolitica, in cui molti Stati ritengono che le “regole” vadano sostituite con la “forza”; ma per fare questo è indispensabile anche un cambio culturale nelle nostre società. 

Per essere più chiaro,  occorre che cambi la concezione stessa della parola “difesa”, ora vissuta come una cosa brutta e sporca, ma che dovrebbe invece essere percepita come strumento strategico di sicurezza, e sinonimo di libertà e tutela delle democrazie.

Ed in questa nuova ottica sarebbe tempo che si smettesse di porre in alternativa i missili e gli asili nido, perché senza armi gli asili potrebbero non esserci più. 

Ed in questo auspicabile cambio di mentalità vanno coinvolte anche le giovani generazioni.

E a tal proposito credo sia illuminante quanto detto dall’Ad di Leonardo Roberto Cingolani, denunciando la sospensione per motivi di sicurezza delle visite presso le Università: “Anche ieri, in un’università italiana, nostri tecnici e ingegneri sono stati attaccati fisicamente da gruppi di manifestanti, che esprimono il dissenso in maniera riprovevole. Ecco perché Leonardo ha deciso di sospendere, almeno per un mese, le visite in centri accademici perché non è sicuro. È imbarazzante che questo accada. Andiamo semplicemente a parlare con gli studenti perché c’è carenza di personale Stem ed è importante, per il futuro e il progresso della tecnologia del Paese e dell’Europa, che ci sia grande attenzione alla valorizzazione di molti cervelli Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica).

Non so se avete capito, qui stiamo parlando di posti di lavoro, oltre tutto di standing molto elevato, in quanto si tratta di studiosi ed ingegneri capaci di sviluppare sistemi d’arma evoluti, come ad esempio quelli missilistici.

Ma sulla scia del sentiment imperante in certe frange giovanili, a mio avviso molto “eterodirette”, chi va ad offrire un lavoro del genere viene contestato e addirittura malmenato.

Mi viene da ridere quando sento qualche nostro maitre a penser auspicare una nostra uscita dalla Nato.

Ma per andare dove?  

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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