3 Maggio 2023 - 8.38

Inflazione: alla cassa del Supermercato si piange, nei Cda si brinda!

C’eravamo illusi che l’inflazione avesse finalmente imboccato una strada in discesa.

Così non è, almeno stando ai dati diffusi ieri dall’Istat, secondo cui questa tassa occulta in aprile è tornata a crescere, passando all’8,3%, dal 7% del mese precedente.

Parimenti, sia pure di poco, anche l’Eurozona ha visto, sempre ad aprile, un incremento dell’inflazione passata dal 6,9% al 7%.    

In sé a livello europeo si tratta di un decimale, quindi poca cosa, se non che è il primo rialzo dopo la discesa iniziata nel novembre scorso dai livelli record toccati nel 2022.

Confesso che fino a qualche mese fa quando andavo al supermercato  non guardavo mai il costo dei prodotti che compravo; prendevo quello che mi serviva, andavo alla cassa e pagavo.

Ultimamente sono però diventato più attento, non solo perché l’aumento di prezzi di tutti i prodotti ormai balza agli occhi, con incrementi che vanno dal 20% in su, ma soprattutto perché ho la netta sensazione che qualcosa cominci a sfuggirmi, meglio che siamo in mezzo ad una colossale speculazione ai danni dei consumatori. 

Intendiamoci, è solo un sospetto, ma mettendo in fila qualche indizio inevitabilmente  viene spontanea la domanda: perché i prezzi continuano a salire se tutti i report riferiscono di cali sia delle materie prime sia  dei costi energetici?

Se a fronte dell’esplosione dei prezzi dell’energia in conseguenza della guerra in Ucraina, e della difficoltà di reperire certe derrate (grano, concimi, fertilizzanti ecc.) un incremento dei costi era comprensibile, adesso che i prezzi, soprattutto quelli dell’energia, si sono stabilizzati, spesso su livelli ante crisi, perché il costo dei beni al dettaglio continua a crescere?

Credo sia legittimo il sospetto che qualcuno, approfittando della situazione, ci marci!   Oppure no?

Non è una novità nella storia umana che ogni qual volta si verificano situazioni caotiche c’è sempre chi paga, e chi invece ne approfitta per riempirsi le tasche.

Durante il primo conflitto mondiale coloro che fecero i soldi con la guerra vennero definiti “pescicani”, ma approfittatori ce ne  sono sempre in presenza di certi eventi.

E non occorre che siano necessariamente di tipo bellico.  Tanto per fare un esempio, quando criticavo il Superbonus 110% lo facevo anche perché ero certo che l’impennata dei costi dei materiali e delle imprese, dallo stesso scatenata, non sarebbe mai più rientrata, ed infatti così è stato.

Io non ricordo mai, a parte forse un calo dei costi nel settore delle comunicazioni (internet ecc.), quando si innescò un po’ di concorrenza (subito rientrata), un vero calo dei prezzi.

Ed è facile capire perché; quando un’azienda riesce a vendere un prodotto ad un certo prezzo, anche se i suoi costi di produzione dovessero calare, perché dovrebbe rinunciare ad un maggiore guadagno?  Per il bene della collettività?  

Andiamo ragazzi siamo seri!

E’ sempre stato così; chi può cerca di massimizzare i suoi profitti, e se i consumatori fanno fatica ad arrivare a fine mese chi se importa?

Pensate stia esagerando?

Meglio ancora, pensate che nel board della Bce siano diventati tutti bolscevichi incalliti?

Perché non un novello Lenin, bensì il membro italiano del board Fabio Panetta si è sbilanciato in un’intervista, affermando: “stiamo probabilmente prestando troppo poca attenzione agli utili aziendali. Ci sono settori in cui i costi delle materie prime stanno calando, ma i prezzi per i consumatori sono in rialzo, come anche i profitti”.

E anche Christine Lagarde, che non vedo come una rediviva Rosa Luxemburg, sembra pensarla allo stesso modo, visto che si è così espressa: “I margini di profitto continuano ad aumentare visto che qualcuno sta cogliendo l’occasione di mettere alla prova la domanda dei consumatori sfruttando lo squilibrio tra domanda e offerta, aumentando i prezzi oltre quanto reso necessario dai costi”.

Quindi ho ragione a pensare che se nei mesi scorsi i listini sono aumentati  per i costi maggiori di materie prime ed energia, adesso che   le condizioni sono  tornate più favorevoli dovrebbero scendere.  

Ma siate certi che, al contrario, quei prezzi non caleranno più, perché garantiscono lucrosi margini di profitto lungo la filiera!

La conferma di questi miei sospetti arriva sempre da quel covo di marxisti rivoluzionari della Banca Centrale Europea, che hanno individuato nell’agricoltura, nei servizi alla clientela e nell’energia, i settori maggiormente interessati a questo fenomeno, che descrivono come “eccezionale dal punto di vista storico”. 

Già perché alla Bce si sono accorti che se i profitti  delle imprese avevano contribuito a un terzo dell’inflazione domestica tra il 1999 e il 2022, nell’ultimo anno sono passati a due terzi.

Detta in altre parole, la sorpresa è che  l’inflazione  in Europa non arriva più dall’energia, i cui prezzi sono quasi tornati ai livelli precedenti alla pandemia, e neanche dai salari, visto che non c’è stata la temuta rincorsa prezzi-salari;  il rialzo dei prezzi  è sempre più guidato dai profitti aziendali.  

E’ sicuramente un fenomeno generalizzato, e quindi anche in Italia i margini aziendali hanno contribuito ad alzare i prezzi. 

Secondo i calcoli di Bloomberg, nel nostro paese oltre il 60 per cento del rincaro è stato determinato proprio dalla ricerca di maggiori guadagni da parte delle imprese. 

Cercando di riassumere questa che  sta diventando una vera e propria “presa per il c….”, finora ci avevano raccontato che gli aumenti di prezzi delle materie prime, dei componenti, dei semilavorati e dell’energia, si sono traslati in un aumento dei costi per le imprese. Ma, a quanto pare, almeno così sembrano pensarla anche a Francoforte, l’incremento dei prezzi finali sarebbe stato ben superiore a quello dei costi.Così ricavi e profitti aziendali salgono oltre misura, a scapito dei consumatori che, per di più, si vedono negata la possibilità di chiedere aumenti salariali perché questo favorirebbe l’inflazione che però non dipende da loro.

Altro indizio che confermerebbe questa mia “teoria” sta nei profitti delle aziende che, dalle Banche a quelle del settore energetico, nel 2022 sono stati “stellari”, per la gioia dei loro azionisti (basta il solo esempio dell’Eni, che nel 2022 ha realizzato utili per 20,4 miliardi di euro, il doppio rispetto al 2021).

C’è una scuola di pensiero che afferma che l’inflazione alimentata da margini aziendali più elevati tende infatti ad autocorreggersi poiché alla fine le imprese sono costrette a porsi un limite per non perdere consumatori.

Sarà anche così, ma io penso invece che il rialzo dei prezzi da profitti non è semplice da far rientrare. Perché non si può certo intervenire direttamente sui listini in un’economia di mercato, fra l’altro nel mentre l’aumento dei tassi di interesse da parte delle Banche centrali continua a colpire la domanda.

Concludendo, scusatemi se vi ho fatto salire la pressione arteriosa, ma io credo che nonostante quello che ci raccontano ogni giorno, in questa fase il calo del potere di acquisto delle famiglie è direttamente collegato ad un ingiustificato aumento della quota di profitto delle aziende, che  riuscirebbero ad aumentare i prezzi più dell’aumento dai costi dei fattori produttivi, tra materiali e lavoro; generando quindi quella che con un nuovo termine viene definita “greedflation”, traducibile con “inflazione da avidità”.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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