27 Febbraio 2023 - 10.57

Il Pd volta pagina: luci e ombre sulla vittoria della Schlein

di Umberto Baldo

Soffiava un vento freddo da nord est ieri sull’Italia, ma sono certo che dopo l’inizio dello spoglio la bora per Elly Schlein aveva il sapore dolce e tiepido degli zefiri, degli alisei.

Già, perché per la prima volta nella storia del Partito Democratico il voto dei gazebo stravolge e rovescia quello degli iscritti.

Questo rischio lo avevo segnalato qualche giorno fa su Tviweb con l’editoriale “Non mitizziamo le primarie”, e questa volta l’impensabile si  è realizzato.  

Così ieri Elly Schlein, neo iscritta al Partito Democratico ne è diventata la Numero Uno grazie al voto dei “passanti”, intesi come votanti esterni, non tesserati.

Ma anche se questo fatto potrebbe essere visto come “populismo spacciato per nuovismo”, resta a mio avviso la grande novità della prima volta di una donna ad assumere il ruolo di Segretaria di un grande partito della sinistra italiana.

Credo che questo sia un po’ il “frutto dei “tempi”, che hanno consentito qualche mese fa la presa di Palazzo Chigi da parte di  Giorgia Meloni, prima “altra metà del cielo” a diventare premier, e che adesso vedono una ragazza di cultura e tradizioni opposte (non dimentico la sua frase “donna che ama una donna, e non per questo meno donna) vincere contro Stefano Bonaccini, che, spiace dirlo anche se lo avrei votato, si è presentato alla sfida con i tratti somatici dell’ ”establishment”.

Non mitizzerei troppo la vittoria della Schlein, che ha sì vinto, ma non stravinto, visto che si è imposta con il 54% dei voti.

E non mi spellerei le mani nemmeno per il numero dei votanti, perché tanto per dare un po’ di cifre nel 2007 (era Veltroni)  votarono in 3.554.169. 

Certo erano gli anni ruggenti del neo nato Pd, e ancora nel 2009, nella corsa tra Dario Franceschini, Ignazio Marino e Pier Luigi Bersani (poi eletto), alle urne ci andarono in 3.102.709.  

D allora il trend ha visto la curva orientarsi sempre più verso il basso, e se nel 2013, quando vinse Renzi, alle primarie votarono in  2.814.441,  nel 2017, erano diminuiti di quasi un milione, fermandosi a 1.848.658.

Crisi che non si bloccò neanche nel 2019, nel confronto che vide il trionfo di Nicola Zingaretti su Maurizio Martina e Roberto Giachetti (1.569.628). 

Ieri a votare sono andati in poco più di un milione; risultato che suscita entusiasmo forse perché si temeva che fossero molti meno.

Quali sono le ragioni della vittoria della Schlein?

Sicuramente il fastidio verso una classe dirigente percepita come vecchia ed inadatta ai tempi attuali, ma indubbiamente anche il fatto che la neo Segretaria ha saputo radicalizzare “a sinistra” lo scontro con Bonaccini, puntando su temi identitari e a mio avviso anche minoritari cui stringersi attorno: un antifascismo ormai di maniera ma sempre attrattivo “a gauche”, pacifismo, ambientalismo, salario minimo, super bonus e quant’altro fa parte dell’armamentario ideologico della sinistra estrema.

Che questo basti a rinverdire i fasti del Pd io ho qualche dubbio, altrimenti non si capisce perché chi questi temi li cavalca da sempre, tipo Nicola Fratoianni e compagnia cantante, sono sempre fermi intorno al 2%.

In sintesi io ho qualche perplessità sul fatto che la Schlein sia in grado di coniugare, come è necessario al Pd, riformismo e radicalismo, e temo che la sua vittoria possa rappresentare un cedimento verso il populismo radicale portato avanti dal “Chavez de noaltri” Giuseppe Conte, per cui si tratterà di vedere se il rapporto con i 5Stelle, cui la neo Segretaria sembra tendere, porterà il Pd in posizione egemone o subalterna al Partito dell’Avvocato del Popolo (io propendo per quest’ultima ipotesi).

Non occorrerà aspettare molto per capirlo, ed il tema è quello del posizionamento dell’Italia sulla guerra in corso.

Per essere più chiaro, il punto cruciale sarà capire se la Schlein cambierà la linea del partito sulla questione più importante, l’Ucraina:  perché se il Pd schleiniano dovesse slittare verso posizioni pacifiste, e alla fine arrivasse  a prendere posizione contro un nuovo invio di armi, o anche solo mostrare una incertezza sulla linea atlantista fin qui meritoriamente seguita da Enrico Letta, allora sì che molta gente, e molti esponenti di primo piano, potrebbero decidere di lasciare il Pd.

Problema non trascurabile in questa prima analisi a caldo, quello degli equilibri del Partito.

Ha voglia la Schlein ad assumere i panni della “rottamatrice” (non alla Renzi ama specificare), nel senso di voler arieggiare le stanze, cambiando l’attuale dirigenza.

Ma questa rivoluzione annunciata a mio avviso si scontra con il fatto oggettivo che a sostenere la sua candidatura sono stati personaggi come Nicola Zingaretti, Peppe Provenzano, Antonio Misiani, Arturo Scotto con altri esponenti di Articolo 1 (Alfredo D’Attorre, Roberta Agostini), Boccia, Marco Furfaro, Michela Di Biase, Chiara Braga e Alessandro Zan, Dario Franceschini e Andrea Orlando.

Non “uomini nuovi”, ma gli esponenti di prima piano di quella che in questi decenni è stata la “nomenklatura” del Partito Democratico.

Possibile che tutti siano intenzionati e disposti a farsi da parte per favorire una nuova classe dirigente più giovane, e più allineata al sinistrismo movimentista della nuova Segretaria?

Oppure, come spesso succede, dalla rottamazione annunciata si passerà gradualmente ai soliti film, fatti di caminetti, “gestioni collegiali”, spartizione dei posti, in piena linea con il gattopardismo che è la chiave di volta per capire la politica italiana?

E per finire la questione delle questioni.

E’ sicura la sinistra che l’estremismo sia la chiave per riconquistare il terreno perduto nei confronti delle destre?

A guardarsi attorno non parrebbe proprio, visto che da Jeremy Corbyn in Gran Bretagna a Bernie Sanders in America il radicalismo di sinistra sembra non aver poi convinto gli elettori;  anzi ha indirettamente contribuito a realizzare le più catastrofiche avventure politiche inglesi e americane degli ultimi anni, dalla Brexit a Trump.

A volerla dire tutta io credo che ieri sera, oltre a Eddy Schlein ovviamente, a stappare lo champagne siano stati sia Giuseppe Conte che potrebbe pensare di avere ora la strada spianata per imporsi come il nuovo capo della sinistra italiana, e poi Renzi e Calenda che potrebbero offrire  agli elettori riformisti e liberali del Pd (e ce ne sono) che non se la sentono si seguire una leader neo, ex, post marxista, che professa la decrescita felice, un’alternativa seria e credibile.

Dovrà mettersi a correre di buona lena la Schlein, perché il primo esame è solo fra un anno, alle Europee del 2024, e non sarà una passeggiata.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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