24 Aprile 2022 - 11.26

Il nostro 25 aprile è un po’ anche loro: cosa è successo alla nostra democrazia se non distinguiamo fra aggredito e aggressore?

di Umberto Baldo

La ricorrenza del 25 aprile 1945 quest’anno non potrà, e non dovrà, essere una riedizione dello stanco rito laico il cui simbolismo si affievolisce a mano a mano che dei testimoni diretti, dei combattenti di allora, per ragioni anagrafiche sono rimasti solo i valori ideali che li spinsero alla lotta armata.
No, non potrà essere il consueto raduno di cittadini, in verità sempre meno anno dopo anno, che assistono alle commemorazioni organizzate da associazioni e amministrazioni locali, mentre sugli schermi delle televisioni scorrono immagini di morte e devastazione, di fosse comuni e di gente costretta a scappare, di poveri diavoli inermi freddati per strada accanto alle loro biciclette, di donne, ragazze e financo bambine, violentate nel corpo e nell’anima.
No, comunque la si veda questo sarà un 25 aprile macchiato dal sangue di innocenti, un 25 aprile amaro, un 25 aprile che ci fa tornare ad altri anni di guerra, che speravamo tutti di non dover rivivere.
Sarà comunque un 25 aprile sul quale peseranno le diversità di giudizio che dividono gli italiani sull’atteggiamento che il nostro Paese dovrebbe tenere nei confronti della guerra, e della resistenza ucraina.
Non è una questione di pacifismo, perchè qualunque persona di buon senso non può che augurarsi la fine dell’aggressione russa, ed il ristabilimento almeno di una parvenza di pace.
Tutti in realtà siamo pacifisti, ma non si può pretendere di rimanere equidistanti da Mosca e da Kiev, e addirittura cercare di capire le cause ed il contesto che avrebbero mosso Putin, perchè equiparare le motivazioni dei belligeranti diventa solo pacifismo estetico, retorico, che finisce per favorire oggettivamente l’aggressore.
Non si può andare in piazza ad intonare “Bella Ciao” senza rivolgere un pensiero agli ucraini che la mattina dello scorso 24 febbraio “si sono svegliati ed hanno trovato l’invasor”.
E parimenti sarà impossibile, nel mentre si ricordano i tanti caduti della nostra guerra di liberazione dal nazifascismo, far finta di non sapere che in questo momento c’è un intero popolo che sta lottando contro le decisioni disumane del Cremlino.
Viene da chiedersi sgomenti: ma cosa è successo in questa nostra democrazia se una parte di noi non riesce più a distinguere l’aggredito dall’aggressore?
Cosa è successo se abbiamo dovuto assistere alle contorsioni di quell’Associazione che dovrebbe essere la suprema depositaria dei valori della Resistenza, e mi riferisco all’Anpi, incapace apparentemente di una scelta netta a favore del diritto alla difesa dei “partigiani” ucraini?
Cosa è successo se fior di nostri intellettuali continuano a proporre capziose distinzioni fra l’autodifesa ucraina e la resistenza italiana, negando la necessità di fornire strumenti di difesa, armi tanto per essere chiari, e così di fatto suggerendo agli ucraini di arrendersi nelle mani dello Zar Valdimir?
Cosa sarebbe successo se in quell’inverno del ’44-’45 ai nostri partigiani non fossero state fornite le armi dagli alleati, se a Washington o a Londra qualcuno avesse pensato che non fosse il caso, visto che così sarebbe aumentato il numero dei morti?
Che gli alleati la guerra l’avrebbero vinta lo stesso, ma agli italiani anti fascisti sarebbe stata negata la possibilità di lottare, e anche di morire, per la propria libertà, condannando l’Italia ad essere marchiata per sempre come un Paese incapace di liberarsi da una dittatura che l’aveva oppresso per un ventennio.
Non ci può essere comprensione, non ci può essere giustificazione per uno Stato che aggredisce una nazione sovrana!
La teoria dell’accerchiamento della Nato, che giustificherebbe secondo alcuni l’invasione russa, è palesemente falsa e strumentale!
Ho l’impressione che chi la pensa così sia ancora fermo agli schemi della guerra fredda, agli anni in cui l’Urss veniva descritta come il “paradiso dei lavoratori”, in cui la Nato era percepita come l’Alleanza del Male, contrapposta al patto di Varsavia, sempre pronto ad intervenire con i carri armati ogni qual volta i popoli sottomessi ambissero ad un po’ di libertà.
Chi ragiona così in realtà nel proprio intimo non vuole accettare la fine dell’Unione Sovietica.
E non vuole accettare che i popoli che finirono sotto il giogo di Stalin prima, e dei burocrati del Pcus dopo, temano ancora il potente vicino.
È nient’altro che il crollo dell’URSS che ha provocato la diaspora dei paesi satelliti, ben prima dell’abbraccio “interessato” della Nato.
Perché dopo la fine del socialismo reale questi Paesi dovrebbero subire il capitalismo oligarchico nato sulle sue rovine?
Persino l’ungherese Orban, con le sue ambiguità nei rapporti con Putin e la Russia, preferisce restare sotto l’ombrello della Nato.
Figuriamoci se gli altri, la Polonia, le Repubbliche baltiche, anche la Svezia e la Finlandia non temono il nuovo irrealistico espansionismo russo!
Per questi motivi gli ucraini non si vogliono arrendere, e a mio avviso non si arrenderanno mai comunque vadano le vicende belliche, perchè vogliono difendere la loro libertà, e quei valori democratici nel nome dei quali in Italia ed in tutta Europa quasi ottantanni fa si lottò, si morì, e si vinse.
Il nostro 25 aprile è un po’ anche loro.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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