27 Ottobre 2020 - 9.40

I ‘tipi da camposanto’, le vedove consolabili e il nostro caro, vecchio… Halloween

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di Alessandro Cammarano

Halloween sì, Halloween no; anche in tempo di più che probabili limitazioni agli spostamenti – vale a dire niente “dolcetto o scherzetto” – la diatriba tra i cultori della zucca intagliata e coloro che invece considerano demoniaco il travestirsi da fantasma la notte di Ognissanti, in sfregio ai morti, riprende vigore come ogni anno.

Si sa, l’Italia non è patria di santi, poeti e navigatori, ma di Guelfi e Ghibellini, Palleschi e Piagnoni, Montecchi e Capuleti; la tendenza a dividersi in fazioni contrapposte e l’una contro l’altra armate fa parte del DNA nazionale. Non c’è niente da fare, se non ci scontriamo non siamo contenti.

Una sintesi mirabile la si trova in Sicilia dove i sono i morti a portare i regali ai bimbi; un po’ come in Messico, dove il 2 novembre è il “Dia de los Muertos”, dove in una perfetta miscela di sacro e profano i vivi si travestono da scheletri e sfilano ballando per le strade in una celebrazione che unisce vita e morte.

Al di là degli aspetti più strettamente commercial-consumistici la stessa festa di Halloween richiama comunque una dimensione altra e che viene da lontano. Per le popolazioni celtiche era la notte in cui si apriva un varco che permetteva al mondo dei vivi di entrare in contatto con quello dei defunti, permettendo agli uni di rivedere gli altri. In fondo è un po’ quello che facciamo tutti – o quasi – una volta l’anno ai primi di novembre.

È importante andare per tombe? La risposta, che poi è quella che Ugo Foscolo dà nei “Sepolcri” è illuminante: «Non vive ei forse anche sotterra, quando/Gli sarà muta l’armonia del giorno, /Se può destarla con soavi cure/Nella mente de’ suoi? […]»; ecco in pochi versi riassunto il concetto di “pietas”.

Andare a trovare i morti fa bene ai vivi, alcune volte anche troppo – vi eravate preoccupati del tono serioso, vero? –, addentriamoci nella disamina dei “tipi da camposanto”.

Per alcuni le celebrazioni dei cari estinti iniziano già ai primi di ottobre: ecco dunque che il cimitero inizia a ribollire di lavori di pulizia degli avelli, di lucidatura dei lumi votivi – almeno di quelli non razziati dai ladri di rame – di rinfresco delle lettere d’ottone che scrivono il nome del trapassato sulla lapide e che nel corso degli anni hanno trasformato il compianto Asdrubale Morsegon in “s-u-bae Mo-segon”, costringendo i semplici conoscenti che magari vorrebbero lasciargli un crisantemo a ricordo del loro affetto a seguire un rapido corso di epigrafia per comprendere l’iscrizione.
I parenti restauratori compiono opere fantastiche, tanto che già verso il 20 ottobre l’ultima dimora del caro estinto rifulge più della Trump Tower

Amplissimo è il ventaglio delle tipologie vedovili, dall’ “inconsolabile” che dopo anni interroga ancora il muto cenere sul perché del suo lascito fin troppo generoso ad un’associazione di majorettes, all’ “ironica”, la quale apostrofa le ossa del consorte forse un po’ troppo amante delle gonnelle e prematuramente scomparso con un lapidario «Hai visto Giovanni? Hai corso hai corso…e sei arrivato primo», alla “spietata” che mentre recita un Requiem Aeternam pensa al baccalà mangiato la sera prima e non del tutto di suo gusto.

Il più fascinoso resta comunque il parente ladro, ovvero quello che arriva presto al cimitero e si aggira furtivo fra le tombe aspettando l’occasione propizia per colpire. Individuato il mazzo di fiori più bello tra quelli deposti se ne appropria con destrezza per poi deporlo ad ornamento della sepoltura dell’adorata zia Eufrosia, dalla quale per altro aveva appreso l’arte del furto floreale ed a cui è eternamente grato.

Meraviglioso anche l’uso – forse più comune nei piccoli centri – delle famiglie di riunirsi in casa dell’uno o dell’altra per poi recarsi tutti insieme a far visita a chi non c’è più. L’occasione è propizia al taglio di una sopressa all’aglio e all’apertura di una o più bottiglie di vino, tanto per farsi passare il freddo e bandire la malinconia.

La successiva tappa cimiteriale avviene dando vita ad una processione serpentiforme, insolitamente allegra e durante la quale il ricorso dei cari estinti si alterna a risatazze che sottolineano l’attaccamento alla vita del parentado superstite. Al ritorno tra le mura domestiche di solito i bagordi riprendono con castagne e vin clinto.

Alla fine aveva ragione Foscolo: i Sepolcri servono eccome.

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