7 Ottobre 2021 - 15.54

I saponi degli anni ’80: ricordo sbloccato!

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di Alessandro Cammarano

A volte ritornano! Schifata negli ultimi anni – gli iperigienisti la definiscono uno dei maggior veicoli di diffusione batterica –, sostituita da rassicuranti detergenti liquidi venduti in dispenser di purissima e superinquinante plastica, torna alla ribalta lei, la regina indiscussa dei bagni domestici e forestieri del tempo che fu: sua maestà la saponetta.

A dire il vero gli ecologisti-vegani-naturisti-iosolobìo non si erano mai staccati dal panetto di detergente solido, non senza qualche fondata ragione, che comunque deve essere o Marsiglia o Aleppo o Cirmolo della Val di Felsenstein o Curcuma di Sumatra; tutto il resto provoca loro un brivido di disgusto

In qualche maniera il panetto schiumoso si è rinnovato anche nella sua variante industriale e la pubblicità prosegue senza soluzione di continuità da quando la televisione ha fatto la sua comparsa nelle case di tutti.

Il cuore degli animi più nostalgici però batte ancora per le saponette anni Settanta e Ottanta del secolo passato e di conseguenza per gli spot che le pubblicizzavano.

Una carrellata stile “Soap Amarcord” è a questo punto quasi obbligatoria: a chi le ricorda torneranno in mente, chi invece non conosce i prodotti che da qui a breve saranno ricordati godrà di un considerevole ampliamento del proprio bagaglio culturale.

Le saponette del passato recente, alcune sono tuttora saldamente in commercio, si possono dividere in tre gruppi principali – vitalizzante-maschile, cosmetica-femminile ed elegante-vecchiadanarosa – che a loro volta sono ulteriormente espansi in sottocategorie.

L’uomo anni 70/80 poteva scegliere tra vari mirabolanti prodotti a seconda di quali fossero le sue esigenze.

Per lo sportivo l’ideale era la Zest-lemon fresh, di un bel giallone fosforescente e dall’odore di limone di sintesi, però faceva tanto macho.

Evoluzione naturale – la pubblicità rimandava a fantomatici paradisi tropicali – fu la FA “al Laim dei Caraibi” che con le sue striature vagamente animalier aveva un che di selvaggio. Il “Laim” – scritto esattamente come si pronuncia e non “Lime” – fa parecchia tenerezza, anche perché all’epoca il mojito o la caipirinha li conoscevano e se li potevano permettere solo una ristretta cerchia di ricconi internazionali che percorrevano le Antille in lungo e in largo con le loro barche extralusso e soprattutto si lavavano con radica saponaria all’ylang-ylang prodotta esclusivamente per loro alla faccia del Laim.

Per chi avesse avuto problemi di traspirazione eccessiva – adesso ci sono i deodoranti che “più sudi e più sai di pulito” – entrava in gioco il mitico Rexona con “Deosteral”, che giurava di garantire freschezza anche dopo una giornata passata a posare traversine ferroviarie. Comunque non era sdegnato dalle signore, tanto che in una pubblicità anni Settanta una ragazza con caschetto alla Caterina Caselli sussurrava all’orecchio di un’amica tipo Barbarella un complice “sai… nuovo Rexona è più … deodorante”; quando si dice la malizia.

Per le gentildonne il tono saliva tanto che una bracciante della bassa mantovana o una postina dell’Aspromonte – le categorie sono del tutto casuali, meglio specificare in epoca di politicamente corretto – potevano aspirare a detergere la stanchezza della giornata con un panetto degno dei Magazzini Lafayette.

Emblematico il Camay che, a detta della pubblicità per altro assai audace per l’epoca, conteneva una goccia “di vero profumo francese”. Ricordo un mio amico delle elementari che sezionò la saponetta alla ricerca della mitica goccia che ovviamente non trovò ma in compenso rimediò una scarica di mazzate da una madre assai poco spiritosa.

Il mito dei miti era, o meglio è perché si trova ancora, il Lux, inventato dai fratelli Lever nel 1889 e venduto in tutto il mondo dal 1924 e noto come “Il sapone delle Dive”; in effetti fu pubblicizzato da mostri sacri come Joan Crawford e Judy Garland per arrivare alle più attuali Catherine Zeta Jones e Jennifer Lopez. Fa piacere sapere che le dive si lavino.

Tutt’ora in commercio il mitico Palmolive, adorato dalle ultracentenarie; come dimenticare la pubblicità affidata alla divina Carla Fracci in versione Giselle?

Resta da dire del sapone da ricchi, e allora non si può non parlare delle mitiche “pastiglie” della Atkinson’s e ai loro profumi di lavanda o di verbena, ma anche il virile vetiver o il sandalo. Solitamente le zie nubili le mettevano negli armadi a profumare la biancheria e le dimenticavano lì per anni non senza piazzarne di nuove, tanto che spesso le dozzine di saponette entravano nell’asse ereditario scatenando liti furibonde tra gli eredi disposti a scannarsi per una Jean Marie Farina al mughetto.

Chiudiamo con una chicca: la mitica Pears, ovale e translucida oltre che british fino al midollo e dalla profumazione discretissima e “antica”: esiste dai tempi della regina Vittoria e la si trova ancora. Io un pensiero – e un bagno – ce lo farei.

Alessandro Cammarano

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