10 Agosto 2023 - 9.10

Granchio blu, l’Attila delle nostre lagune: una soluzione? La “tecia”

Mentre a Porto Tolle, Porto Viro, Rosolina, Chioggia, Caorle, e soprattutto a Scardovari, i pescatori si stracciano le vesti perché il granchio blu, specie aliena proveniente dall’Atlantico, sta letteralmente facendo strage negli allevamenti di cozze, vongole ed ostriche, a migliaia di chilometri di distanza, a Baltimora, i giornali parlano con enfasi del problema opposto, vale a dire che quest’anno i granchi sono talmente pochi che qualcuno ha addirittura pensato di importarli dall’Italia.
Già perché il Maryland è noto per le sue prelibatezze regionali, tra cui i famosi “crab cakes”, tipiche crocchette a base di granchio blu, che sono appunto il simbolo ed il vanto di Baltimora.
La città è soprannominata proprio “Crab Cake”, e i granchi sono così famosi da essere raffigurati addirittura sulle patenti di guida dei suoi cittadini.
Tutto il Maryland è costellato da crab houses, caratteristici locali stile baracche di pescatori che assomigliano più a navi che a ristoranti, e in cui è possibile gustare le ricette a base di granchio blu, serviti cotti al vapore con acqua, birra e Old Bay, un condimento a base di spezie particolarmente piccante.
E l’attuale penuria di granchi blu in quella parte di Atlantico, vista con gli occhi degli americani, è talmente seria che la stampa del Maryland sta seguendo con particolare attenzione, e sicuramente con una certa incredulità, le vicende dei nostri allevamenti, e immagino anche tutte le chiacchiere che, nel tipico stile “daaa Nazzzzione”, stanno imperversando fra pescatori, politici, associazioni di categoria, e chi più ne ha più ne metta.
Ma riavvolgiamo il nastro, per capirci qualcosa di più.
E’ cosa nota che tutti i mari si stanno riscaldando, alcuni tropicalizzando come dicono gli esperti, e fra questi in particolare il Mediterraneo, visto che si tratta sostanzialmente di un mare chiuso.
Siccome però sono aperti sia il Canale di Suez che lo stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole), specie ittiche tipiche di mari caldi quali l’Oceano Indiano, ma anche di mari più freddi come l’Atlantico, trovano particolarmente confortevoli le tiepide acque del Mare Nostrum.
Se a questo aggiungiamo l’esplosione dei traffici marittimi, con migliaia di navi che scaricano dalle loro stive le acque di sentina, in questi reflui spesso si trovano “specie aliene”, come ad esempio il granchio blu.
E’ un po’ come succede con i virus, che viaggiano comodamente all’interno delle cabine dei nostri aerei.
Così è arrivato il “mostro” che toglie il sonno ai nostri pescatori!
Non è stato introdotto volontariamente, come successo per altre specie, ma ha viaggiato dal Nord Atlantico fino alle nostre lagune appunto nelle stive dei mercantili.
Scientificamente il granchio blu si chiama Callinectes Sapidus, ed è un crostaceo autoctono dell’Atlantico del Nord, appartenente alla famiglia dei Portunidi, che divora un po’ di tutto, dalle anguille ai mitili, dalla orate alle spigole da allevamento.
Come spesso succede per le specie “aliene”, nelle nostre lagune e nei nostri litorali il granchio blu non ha nemici naturali, e quindi la popolazione sta aumentando esponenzialmente, provocando danni enormi al nostro ecosistema, ma soprattutto agli allevamenti di vongole e cozze di cui è ghiotto, e che riesce ad aprire con le sue chele che sono particolarmente forti.
E tanto per capire l’entità e la gravità dell’invasione, basti dire che i nostri granchi blu in alcune aree hanno mangiato fino al 90% dei giovani molluschi, devastando così anche la produzione futura, per non parlare dei danni provocati all’intero ecosistema.
Detta così potrebbe anche sembrare una curiosità naturalistica, conseguenza dei cambiamenti climatici e del riscaldamento delle acque superficiali, ma se la contestualizziamo nel territorio, veneto in particolare, la realtà è che qui parliamo di circa 3000 aziende che rischiano il tracollo; tanto per fare un esempio la sola sacca di Scardovari rischia di avere almeno 1.500 disoccupati nel prossimo triennio.
Al momento sembra di capire che le contromisure messe in atto da operatori ittici e pescatori siano quelle di intensificare le catture dei granchi, ma a occhio e croce ho la sensazione che al momento il risultato sia analogo a quello che si ottiene cercando di svuotare il mare con un secchiello.
Inutile dire che le preoccupazioni e gli allarmi dei pescatori sono arrivati fino ai palazzi del Potere, che hanno risposto al momento nell’unico modo possibile, quello degli aiuti e degli indennizzi.
Ed infatti il Ministro Lollobrigida ha reso noto che sono stati appena stanziati 2,9 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza (prelievo e smaltimento).
Ma siccome a questo punto non più di emergenza si tratta, bensì di una nuova realtà, con la quale volenti o nolenti tutte le coste italiane dovranno convivere da oggi in poi, la politica degli indennizzi nel medio-lungo periodo non regge, e bisogna quindi pensare a come trasformare una calamità in una opportunità.
E qui torno agli americani, ed al quotidiano Baltimore Banner, che con lo spiccato pragmatismo che caratterizza gli yankees suggerisce: If you can’t beat ‘em, eat ‘em”, “Se non potete sconfiggerli, mangiateli!”.
A onor del vero i più lungimiranti hanno già cominciato a proporre soluzioni, tipo quella di destinare gli esemplari più piccoli a biocarburante o alla distruzione, e di promuovere per quelli più grandi il consumo alimentare.
Come accennato, dall’altra parte dell’Atlantico i granchi blu sono considerati una prelibatezza, e a mio avviso il fatto che tra le proprietà nutrizionali della specie ci sia una forte presenza di vitamina B12, estremamente preziosa per l’organismo, potrebbe diventare un elemento di promozione molto rilevante per il consumo umano anche dalle nostre parti.
Certo, come sempre certe riconversioni industriali richiedono investimenti, e tanto per capirci un impianto ad altra pressione per estrarre polpa dai granchi può arrivare a costare anche un milione di euro.
Ma chi non risica non rosica, si usa dire, e non fare nulla vorrebbe dire destinare le nostre splendide lagune alla desertificazione ittica, a parte ovviamente i granchi blu.
Ed in effetti, come sempre accade, c’è già chi ha fiutato l’affare, come un pastificio padovano che ha iniziato a produrre ravioli con il ripieno di granchio blu, che stanno andando a ruba.
O come un ristorante di Eraclea che ha presentato un menù tutto a base di granchio blu, dall’antipasto al secondo: sotto forma di insalatina, con gli spaghettoni all’aglio, spadellato al rosmarino.
Ed a Chioggia il direttore del Mercato ittico ha annunciato cha a fine mese organizzerà la prima Festa del granchio blu.
Quindi, visto che al momento non c’è alcuna possibilità di fermare l’invasione “aliena”, l’unica strada possibile è appunto quella di promuovere il passaggio dalla criticità all’opportunità.
Tenendo presente che non si tratterebbe della prima specie non autoctona che alla fine si è ambientata talmente bene nei nostri mari da diventare un successo commerciale.
Forse non ricordiamo più che quella che comunemente acquistiamo come vongola verace in realtà è originaria delle Filippine, che ha a su tempo letteralmente soppiantato la specie originaria del Mediterraneo.
Perché rispetto a quest’ultima è in grado di sopportare notevoli variazioni di salinità, è resistente a carenze di ossigeno, e soprattutto è dotata di un periodo riproduttivo doppio rispetto a quello della vongola mediterranea.
La filippina inoltre ha un ritmo di crescita molto elevato, raggiungendo in soli due anni la taglia che quella originaria dei nostri mari raggiungerebbe in tre.
Adesso questa vongola è a rischio a causa dei granchi blu, per cui quando sarà evidente, fra non molto, che le specie ittiche che siamo abituati a consumare da sempre si faranno molto più rare (e immagino molto più care) non resterà che fare di necessità virtù, mettendosi a mangiare alla grande i granchi, come d’altronde fanno americani e cinesi.
Non l’ho mai assaggiato, ma chi lo ha fatto riferisce che ha un sapore simile a quello dell’astice.
Perché non provare?
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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