23 Giugno 2015 - 15.40

Fiducia sulla riforma della Scuola una sconfitta per tutti

scuola

di Marco Osti

L’approvazione della riforma sulla Scuola attraverso la fiducia sarebbe una sconfitta per tutti, il Governo che la porrebbe e le opposizioni che dovrebbero subirla.
L’istruzione di un Paese è un bene comune fondamentale e indispensabile, intorno al quale è necessario che vi sia discussione, perché l’insegnamento e la cultura sono le basi fondanti di una società democratica, la cui coesione si fonda sul dialogo.
Tra le riforme proposte dal Governo Renzi quella della Scuola ci appare, su molti temi, quella che può avere logiche più convincenti per favorire uno sviluppo dell’insegnamento migliore di quello attuale.
Ciò nonostante ha prodotto spaccature e divisioni, con uno sciopero generale al quale hanno partecipato in blocco gli insegnanti, anche quelli che con la riforma potrebbero essere finalmente assunti in modo stabile.
Crediamo che questa situazione abbia due ragioni di base.
Una risiede nel tentativo di imporre le sue decisioni che il presidente del Consiglio ha provato a realizzare fin dall’inizio, come ha fatto su altri temi, a partire dal Jobs Act.
L’altro motivo risiede nell’idea strisciante nel provvedimento, aldilà delle singole misure, di un processo di introduzione di logiche aziendalistiche all’interno degli istituti scolastici, che vanno bene per imprese, la cui ragione d’essere è creare profitto, non dovrebbero appartenere a una istituzione il cui fine è la valorizzazione sociale, intellettuale e culturale delle ragazze e dei ragazzi del Paese.
Questi due aspetti, inseriti nel più ampio contesto di un Governo che su altre questioni ha operato con una determinazione che spesso è sfociata in arroganza e mancanza di rispetto per chi voleva provare ad avanzare proposte diverse da quelle già decise dal presidente del Consiglio, hanno favorito un clima di mancanza di fiducia nelle proposte di riforma della scuola, con il rischio di non considerarne anche aspetti positivi, come l’importante pacchetto di investimenti di 3 miliardi di euro, l’assunzione di 100 mila precari e l’aumento quindi del corpo insegnanti.
Anche su questi punti, che avrebbero dovuto unire tutti, sono però emerse difficoltà come è normale accada quando il presidente del Consiglio manda messaggi che appaiono ricattatori, dicendo che se non passa la riforma saltano le assunzioni.
Servirebbe naturalmente la disponibilità al dialogo e al confronto per spiegare perché senza la riforma non sarebbe possibile la conferma di chi da anni è precario.
Ma se questo non accade è perché, in un caso, non c’è effettivamente un nesso logico e quindi è vero quanto dicono molti oppositori che si tratta di un mero ricatto, oppure, in altro caso, perché Renzi al dialogo, al confronto nel merito, alla discussione sui distinguo che arricchisce il dibattito pubblico, come sempre preferisce lo slogan semplicistico e a effetto, che probabilmente produrrà il risultato che auspica, ma lascerà insoddisfatto chi non è convinto, chi non si fida, chi si oppone.
Una logica che è ormai uno stile di gestione del potere, che porta al raggiungimento di risultati immediati, ma certo non investe nella coesione sociale e non assolve al compito che dovrebbe essere di un presidente del Consiglio, come peraltro non l’hanno assolto molti predecessori di Renzi, di lavorare per unire il Paese e favorirne l’aggregazione sui temi basilari che servono a regolare la convivenza comune.
Resta comunque che in questo momento il tema in discussione è la riforma della Scuole, che per sua natura è un bene di ogni italiano, per questo sarebbe opportuno che il Governo non l’affrontasse ponendo pregiudiziali e rifiutando una discussione chiara e pubblica in Parlamento nel merito dei temi.
Allo stesso tempo le opposizioni non dovrebbero lasciare cadere la possibilità di affrontare il tema in un dibattito in Aula, dove è indispensabile che le leggi siano discusse e approvate.
Il timore è che questa ulteriore opportunità di dialogo venga lasciata cadere e il Paese ne esca sconfitto come già avvenuto quando si è assistito alla modifica delle legge elettorale a colpi di maggioranza.

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