EDITORIALE- Bruxelles, quel dolore che ci unisce e ci rende invincibili

di Marco Osti
È un dolore denso e violento quello che prende allo stomaco guardando le immagini delle stragi di Bruxelles, di colpo diventata Parigi, come Parigi era diventata Madrid, Londra e fuori dall’Europa, il Kuwait, la Somalia, la Tunisia, l’Egitto, e, naturalmente, New York.
Si assomigliano tutti i luoghi delle stragi perpetrate da terroristi assassini e vigliacchi.
Il fumo provocato dalle esplosioni cela i volti e i contorni delle strade e dei luoghi, così, mentre tutto appare velato, quello che noi vediamo e sentiamo è quel dolore profondo con cui veniamo ancora una volta catapultati nell’orrore di una umanità che fa male a se stessa, in nome di ideali senza valore di fronte alla morte di persone inermi e innocenti.
È in mezzo a quello scempio di vite umane che non esistono ragioni accettabili, motivazioni plausibili, giustificazioni minimamente tollerabili.
Vale oggi per i terroristi islamici, come è valso in passato per altre forme di terrorismo, da quello religioso a quello politico, di cui l’Italia porta ancora purtroppo profonde ferite e la memoria dello stesso dolore di oggi.
Di fronte a tutto ciò le valutazioni, le discussioni e le analisi politiche non bastano e devono anzi cedere il passo a una reazione determinata e coesa da parte degli apparati di sicurezza europei.
Serve un’azione coordinata di intelligence e di polizia, che isoli i terroristi e il tessuto sociale in cui trovano sostegno e rifugio.
Gli sforzi finora compiuti devono continuare e implementarsi, perché la strage che ha insanguinato l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles può, per assurdo, avere origine proprio nell’azione che stava portando a smantellare la cellula cui apparteneva Salah Abdeslam, il terrorista fuggito dopo gli attentati di Parigi e catturato nella capitale belga lo scorso venerdì 18 marzo.
È uno scontro duro e difficile in cui il margine di errore è minimo, perché compierlo può significare ritrovarsi a contare altri morti in altri attentati.
Un errore è stato compiuto dichiarando al mondo, da parte della polizia belga, che Abdeslam stava collaborando e lasciare che il suo legale ne parlasse con gli organi di informazione.
I terroristi hanno capito che le forze dell’ordine stavano acquisendo informazioni utili per andarli a prendere e così hanno deciso di agire.
Evidentemente erano pronti o forse hanno dovuto accelerare i piani o modificarli.
Questo lo devono scoprire gli investigatori per comprendere se queste cellule sono in grado di agire attivandosi in poche ore o se, nel caso di Bruxelles, l’hanno fatto perché avevano già pianificato azioni che sarebbero scattate comunque e in breve tempo.
Sul fronte delle indagini quindi molte domande chiedono risposta, ma il tempo necessario per ottenerle è vitale, perché un ritardo o un errore possono significare altre morti innocenti.
Colpire il cuore dell’Europa, colpire la capitale dell’Unione Europa, una città simbolo, per il suo valore politico e per la grande presenza di immigrazione islamica, è un segnale che evidenzia quanto sia alto il livello dello scontro che i terroristi vogliono portare al mondo libero e dove le loro logiche di morte non trovano spazio.
È evidente il tentativo di condizionare la vita di ogni cittadino del mondo che crede nella libertà, ma questa è la situazione in cui ci troviamo e che dobbiamo contrastare in nome di quella libertà.
Ognuno deve partecipare con gli strumenti e il ruolo che ricopre.
Le forze dell’ordine devono agire in modo determinato e coeso a livello internazionale, soprattutto in Europa, dove l’emergenza può essere l’impulso a dare un’identità di unità politica e in termini di sicurezza, che ancora non è stata effettivamente conseguita e praticata ed è invece ormai condizione indispensabile da realizzare.
Le persone hanno un ruolo fondamentale che possono esercitare non smettendo mai di vivere come cittadini liberi, che rivendicano il diritto e la volontà di appartenere a nazioni democratiche, attraverso la loro vita quotidiana, salendo sulle metropolitane, sui treni e sugli aerei, andando ai concerti e al cinema e nei ristoranti, sconfiggendo ogni giorno con la propria normalità il tentativo di essere paralizzate nel terrore.
La strage di Bruxelles compiuta dai terroristi per evitare di essere catturati nella sua tragicità è il segno che in Belgio, contro quella cellula armata, contro l’omertà di un quartiere che nascondeva Abdeslam, si stava vincendo una battaglia.
Ogni giorno noi partecipiamo ad altre piccole grandi battaglie e con ognuna vinceremo la guerra contro chi prova a cancellare l’identità di popoli liberi.
Per questo la nostra reazione deve essere la normalità e la forza di non diventare carnefici come assassini che mettono bombe vigliacche tra la folla.
Non diventare come loro e restare quello che siamo è il compito enorme e difficile, ma vitale che abbiamo come cittadini liberi in ogni parte del mondo, uniti in quel dolore denso e profondo che ci strazia, ma ci può rendere invincibili.













