19 Luglio 2023 - 9.42

E la chiamano estate…

di Umberto Baldo

“E la chiamano estate, questa estate senza te….”  cantava Bruno Martino nel 1965 con la sua voce calda e avvolgente.

Ma erano altre estati quelle, in cui a dominare la scena era il mitico Anticiclone delle Azzorre (quelle isole erano  note anche ai bambini viste le costanti citazioni del re dei meteorologi Edmondo Bernacca).

Allora di Anticicloni ce n’era solo uno, e lo era per antonomasia.

Tutto questo ha funzionato fino a qualche anno fa, tanto che sembrava assodato che a regolare i nostri luglio e agosto fosse quell’area di alta pressione  semi permanente che stazionava in pieno oceano Atlantico. 

Adesso piacerebbe anche a noi canticchiare quel “senza te”, però riferendo il “senza”  a quell’ Anticiclone africano che anno dopo anno, con le sue roventi masse d’aria provenienti dal Sahara, ci rende la stagione estiva sempre più invivibile.

Perché credo sia arrivato il momento di dire che, al di là della retorica della voglia di mare, dei giochi sulla spiaggia e dei tuffi, della fuga dalle città vuote, e quant’altro ci propinano da sempre le cronache televisive, questa che stiamo vivendo negli ultimi anni non è più “la bella stagione”.

Per come l’ha conosciuta la mia generazione fino agli anni 2000, quella di oggi non più l’estate; questo è un incubo.

E non saprei come definire diversamente temperature infernali, che finora leggevamo come curiosità riferite a località in pieno deserto algerino, e che adesso vengono raggiunte ad esempio in Sardegna o in Sicilia. 

Ricordo uno studio di due o tre anni fa del Politecnico di Zurigo in cui si diceva che fra una trentina d’anni  potremmo ritrovarci con la Svizzera grande produttrice di agrumi, o con i belgi che faticheranno a produrre birra e si dedicheranno alla viticoltura. 

E così Madrid assomiglierà a Marrakech, Stoccolma e Budapest, Londra a Barcellona,  Milano a Dallas , Roma a Tunisi.

Il problema è che la capitale della Tunisia è ospitale e gradevole perché è stata costruita a misura di quel clima, ma Roma no. 

La Città Eterna si troverà spiazzata con strutture ed edifici inadeguati, e con il rischio di mettere a rischio la sua vivibilità.  E questo vale per tutte le città europee!

Guardate, non ho intenzione di fare del meteo terrorismo, e so bene che “bollori” e preoccupazioni passeranno con le prime rinfrescate autunnali, ma credo sia innegabile che questa con oltre 40 gradi al nord Italia non è estate.

Questa è un’altra altra cosa, è un’estate in versione estrema, esponenziale, tipica più delle latitudini tropicali-equatoriali che della cosiddetta “zona temperata”. 

Che se diventerà come temo la norma, ci obbligherà a modificare il nostro modo di pensare e di vivere.

Ad esempio come si può solo immaginare  che con le temperature di questi giorni  un muratore possa andare sul tetto di una casa nel primo pomeriggio, o un addetto alle manutenzioni stradali possa stendere l’asfalto bollente?

E cito questi due soli lavori perché sono i primi che mi vengono in mente, ma è tutto il mondo del lavoro che dovrà ripensare l’approccio, io immagino anche cambiando gli orari, evitando ad esempio le ore centrali della giornata.

Come non sarà più accettabile che ci siano mezzi di trasporto, ed io dico anche uffici o stabilimenti (vedi lavoratore morto a Firenze nei giorni scorsi per il caldo) privi di condizionamento.

E a mio avviso dovrà essere rivista anche la tempistica delle ferie, andando in vacanza in primavera ed autunno, almeno chi lo può fare, perché trovarsi con temperature da Inferno dantesco in coda per i Musei Vaticani, o in Piazza della Signoria a Firenze, o al teatro greco di Taormina, è semplicemente angosciante, oltre che disumano.

La chiusura nelle ore centrali della giornata dell’Acropoli di Atene, decisa in questi giorni, è già un segnale, una presa di coscienza del problema. 

E so di sfatare un mito, ma non ho timore di dire che in certe condizioni, con una temperatura di 35 o più gradi, alta umidità e calma di vento (non insolita in questi giorni) si muore anche sotto l’ombrellone in riva al mare, perché la sabbia si infuoca e trasmette calore.

Certo si può andare a rinfrescarsi in mare, ma non si può mica pensare di passare giornate intere in acqua. 

Sicuramente le cose vanno meglio in quota, ed infatti ho già cominciato a leggere dichiarazioni di Sindaci di paesi delle nostre montagne che invitano a considerare l’opportunità di trasferirsi nei loro borghi, con l’evidente intento di fermare lo spopolamento delle “terre alte”.

E’ scontato che di fronte alle “estati impossibili” molti sceglieranno in futuro di trasferirsi della pianura alla montagna, o i proprietari di seconde case dimoreranno per periodi più lunghi all’ombra delle vette, ma credo non ci si possa nascondere che il solo pensare di dirottare i 150mila  che domenica hanno invaso Jesolo (e parlo solo di Jesolo) verso i nostri borghi montani sia da pazzi, e spero non occorra  vi spieghi il perché.

In ogni caso la soluzione “trasferimento in quota” sarà sempre marginale, in quanto la capacità di accoglienza della montagna, e parlo di numeri, è e sarà per forza di cose limitata.

Qualche amico cerca di convincermi che il caldo d’estate c’è sempre stato, e che quindi rientriamo negli alti e bassi del clima.

Che la terra abbia conosciuto periodi più caldi e periodi più freddi ce l’ha dimostrato la scienza, ma da questo a dire che le estati dell’ultimo decennio rientrano nella norma che conoscevamo, ce ne corre.

La cruda verità è che fa caldo, tanto caldo, pesante da sopportare non solo dai “turisti” e dai “vacanzieri”, che comunque possono stare all’ombra a non fare niente, ma soprattutto da chi deve restare in città per lavorare, o magari perché non ha i soldi per andare in ferie.

A dirvela tutto sono piuttosto scettico che in tempi brevi si riesca ad invertire la tendenza in atto, perché sono troppi i fattori che entrano in campo, per cui credo sia necessario armarsi di pazienza e fare di necessità virtù, preparando paesi e città allo scenario peggiore previsto in tempi rapidi dagli scienziati.

E di conseguenza i famosi “decaloghi”, quelle raccomandazioni classiche per resistere alla calura estiva (certo non la leccata al gelato mostrata dai TG) non sono più da considerare semplici consigli, bensì strategie di sopravvivenza.

Perché, a parte i disagi, va rimarcato che di caldo si muore!

Ed uno studio pubblicato su Nature Medicine ci dice che in  Italia il caldo uccide più che in altri Paesi d’Europa. Lo scorso anno d’estate nel nostro Paese ci sono stati 18.010 decessi attribuibili o legati alle ondate di calore, in uno Stivale che tra fine maggio e inizio settembre ha fatto registrare in media 2,28 gradi in più rispetto alla media storica. Non solo: se si guardano le morti per milione, sempre dovute al caldo, l’Italia risulta prima in Europa con 295 decessi per milione rispetto a una media del Vecchio continente di 114 vittime.

In definitiva, se il clima cambia come è innegabile stia cambiando, dovremo giocoforza cambiare anche la nostra mentalità, che deve evolversi per affrontare una problematica così vasta, così globale, e così difficile.   Partendo dall’idea che non ci sono soluzioni miracolistiche ed immediate.

Per il momento dobbiamo registrare che da una ventina d’anni ogni estate è la più calda da quando sono iniziate le rilevazioni, in un crescendo che sembra non avere mai fine.

Per cui diventa sempre più attuale una battuta che gira sul web: “questa non è l’estate più calda della mia vita, è l’estate più fresca del resto della mia vita”.

Per quanto mi riguarda, a rischio di sembrare un po’ bizzarro, ho sempre detto che “preferisco tre inverni ad una estate”.

Di fronte ai picchi di caldo di questi giorni, qualcuno mi ha detto che forse non ho tutti i torti. 

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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