VENETO – PFAS, analisi sulle acque usate in agricoltura

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Nella discussione in consiglio regionale sulla risoluzione relativa a “Inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche nella Regione Veneto: ulteriori iniziative a tutela e salvaguardia della salute della popolazione e dell’ambiente nei territori interessati” sono intervenuti anche gli assessori regionale all’agricoltura Giuseppe Pan, all’ambiente Gianpaolo Bottacin e alla sanità Luca Coletto.
L’assessore Pan ha riferito degli esiti dell’incontro avuto in mattinata con i rappresentanti delle organizzazioni agricole, informando sulle decisioni che sono state prese e assicurando il consiglio che, pur in attesa degli esiti dei monitoraggi dell’Istituto Superiore di Sanità su prodotti agricoli e animali, è stato avviato tutto quello che poteva essere messo in moto per il settore primario.
L’assessore Bottacin ha ricordato che la Regione è intervenuta immediatamente dopo che la questione dell’inquinamento da Pfas è stata evidenziata in uno studio del Cnr, iniziato su vari territori italiani nel 2006 e reso noto nel 2013. Le acque ad uso potabile degli acquedotti pubblici sono state messe in sicurezza con l’installazione di filtri fin dall’agosto 2013 ma per i Pfas mancano ancora limiti precisi che devono fissati da una legge dello Stato. La Regione ha adottato come riferimento i livelli indicati dall’Istituto Superiore di Sanità, sollecitato in merito. Messe in atto le soluzioni per garantire alla popolazione acqua al di sotto di questi limiti, individuata l’area di diffusione della contaminazione e la fonte primaria dell’inquinamento, si sta ora valutando l’intervento strutturale acquedottistico definitivo, che richiederà comunque tempo.
Da parte sua l’assessore Coletto ha fatto riferimento all’azione di monitoraggio avviata sulla popolazione con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità, i cui risultati sono stati resi noti con il massimo della trasparenza. Il monitoraggio proseguirà per approfondire lo stato di salute della popolazione, tenuto conto che sono circa 270 mila le persone potenzialmente esposte alle sostanze inquinamenti. Una notizia positiva arriva dal Registro dei tumori: per quanto riguarda le patologie tumorali la differenza tra le zone venete inquinate e le altre è pari a zero.
L’INCONTRO CON LE ASSOCIAZIONI AGRICOLE
Premesso che le acque ad uso potabile degli acquedotti pubblici sono state messe in sicurezza con l’installazione di appositi filtri fin dall’agosto 2013; che la sanità regionale sta per avviare un monitoraggio pluriennale su circa 250 mila persone potenzialmente esposte per un costo di circa 150 milioni di euro; e che mancano limiti cogenti fissati dal Governo (che ancora non esistono e che la Regione solleciterà a tutti i livelli), la complessa questione dell’inquinamento da Pfas che è emersa in Veneto da uno studio del Cnr iniziato su vari territori italiani nel 2006 e conclusosi nel 2013, è stata oggi al centro di un vertice, tenutosi in Giunta regionale, cui hanno partecipato gli Assessori all’Agricoltura, all’Ambiente e alla Sanità, con i rappresentanti del mondo agricolo (Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Anpa Veneto).
Sul tavolo la difficile situazione delle imprese agricole e allevatorie che utilizzano grandi quantità di acque superficiali o da pozzo artesiano per le loro attività.
I tre Assessori, coadiuvati dai rispettivi tecnici, hanno illustrato l’evoluzione della vicenda e lo stato dell’arte, prendendo nota delle preoccupazioni emerse dagli interlocutori.
Al termine è stato condiviso un cammino, proposto dall’Assessore all’agricoltura, che prevede in tempi brevi la messa a disposizione da parte delle Organizzazioni Agricole della mappatura delle aziende che utilizzano acque superficiali o pozzi per la loro attività, il prelievo di un campione di acqua e le analisi da parte dell’Arpav, il cui costo potrà essere regolato e “calmierato” mediante un convenzione da sottoscrivere tra la Regione e le Organizzazioni Agricole.
Una volta conosciuti gli esiti, e individuati gli eventuali pozzi che dovessero superare la soglia di accumulo, le due ipotesi d’intervento che sono state avanzate sono la variazione dell’altezza dei pozzi per raggiungere una falda “pulita” o l’apposizione di filtri. Si sta anche valutando la possibilità di deviare verso le zone inquinate parte dell’acqua gestita dal Consorzio di Bonifica di secondo grado Lessino-Euganeo-Berico (LEB) la cui acqua, captata dal fiume Adige, potrebbe contribuire alla diluizione delle sostanze sia sulle falde che sulle acque superficiali. Scartata, invece, l’ipotesi di collegare le aziende alla rete idrica pubblica, sia per gli alti costi, sia per l’impossibilità che l’acqua potabile degli acquedotti sia sufficiente ad rispondere sia alle esigenze della popolazione che a quelle degli agricoltori.
“La Regione Veneto non è l’unica in Italia ad avere questo problema – ha detto gli assessori – ma al momento ci risulta sia l’unica ad averlo affrontato di petto e con trasparenza. Da qualsiasi parte la si affronti si tratta di una situazione di grande impatto sanitario, ambientale, agricolo ed anche emozionale, che comporterà costi ingenti. Lo Stato non può rimanere indifferente. Occorrono finanziamenti straordinari e la fissazione, una volta per tutte, di limiti cogenti sull’accumulo di queste sostanze, delle quali in realtà non si è ancora in grado di conoscere compiutamente la reale pericolosità. Un limite nazionale – hanno concluso gli Assessori – è l’unico elemento di chiarezza che ancora manca, ma è fondamentale”.













