12 Agosto 2025 - 7.54

Viaggi- Santiago de Compostela. La cattedrale della fine del mondo

La nostra seconda tappa nel viaggio attraverso i grandi santuari della cristianità ci porta all’estremo confine della terra conosciuta, almeno per gli uomini medievali: Santiago de Compostela, in Galizia, Spagna nordoccidentale.
Qui secondo la tradizione cristiana, riposano le spoglie di Giacomo il Maggiore, uno dei dodici apostoli.
E il nome stesso – San Giacomo del “campo della stella” – racconta già una leggenda: un corpo traslato fino ai margini dell’Occidente, una stella che ne avrebbe indicato il luogo della sepoltura, un campo desolato che col tempo sarebbe diventato città sacra.
A differenza di Loreto, Santiago non si trova lungo un cammino: Santiago è il cammino.
È la meta, non la tappa.
Ci si arriva a piedi, lungo sentieri segnati da secoli, oppure in auto – come feci anch’io, qualche anno fa – ma sempre spinti da un richiamo che è culturale, spirituale, o semplicemente umano.
Ma prima di arrivare a Santiago bisogna entrare in Galizia, e prepararsi a lasciare da parte ogni cliché sulla Spagna.
Dimenticate il sole feroce dell’Andalusia, le spiagge affollate della Costa Brava, la paella e la sangrìa.
Qui domina un’altra Spagna: la Spagna verde, come in Cantabria, Asturie e Paesi Baschi; una Spagna diversa, sconosciuta e misteriosa, lontana dall’idea che ricorda il mondo iberico nell’immaginario collettivo. Qui in silenzio si ascolta il respiro della terra, le pietre che vibrano, e si rimane estasiati dinanzi all’eterno confronto tra uomo e natura.
Una terra di pietra grigia, di eremi, di croci votive – i cruceiros – piantate agli incroci e davanti ai cimiteri, silenziosi segni di devozione popolare.
La Galizia profuma di oceano e di leggende celtiche, con un clima modellato dalla Corrente del Golfo che rende l’aria umida, spesso piovosa anche d’estate.
Io la visitai a fine maggio: qualche timido raggio di sole tra nebbie leggere e improvvisi scrosci.
Ma è anche questo il suo fascino: un cielo mai davvero limpido, un paesaggio che sembra uscito da una fiaba celtica.
Lungo i suoi 1500 chilometri di costa si alternano spiagge selvagge battute dalle onde atlantiche a quei misteriosi rias, bracci di mare che si insinuano nella terra come se volessero accarezzarla.
Sono i rias a definire la geografia della Galizia, ma forse anche l’anima dei suoi abitanti: un equilibrio sottile tra terra e oceano, tra radici e orizzonti.
E che dire della flora? In una regione così umida e frastagliata, ti aspetti boschi atlantici – querce, faggi, castagni.
Invece, mi sono ritrovato a percorrere strade strette come tunnel tra alberi altissimi, che nemmeno in Germania avevo visto.
E non credevo ai miei occhi quando scoprii che si trattava di eucalipti: sì, proprio loro, le piante australiane.
Fu un religioso galiziano, di ritorno da una missione, a portarli fin qui.
E da allora gli eucalipti hanno colonizzato il territorio, coprendo oggi il 14% della regione. Una foresta esotica in piena Europa.
Motivi per visitare la Galizia ce ne sono a decine: paesaggi alpini nel cuore della Spagna, coste da surfisti, fari solitari, borghi, cucina intensa e autentica (come il celebre pulpo a la gallega).
Ma nessuno può ignorare Santiago.
Non vai in Galizia per vedere Vigo o A Coruña.
Vai per Santiago.
Anche se non sei credente, anche se non hai percorso a piedi gli 800 chilometri del “Camino”, anche se arrivi in macchina.
Santiago de Compostela è un traguardo simbolico, una meta scolpita nell’immaginario collettivo europeo: è la città della fine del viaggio, della sfida vinta, della meta raggiunta.
E se, come me, arrivi senza zaino, senza bastone, senza vesciche, senza conchiglia ti sentirai quasi fuori posto tra i tanti pellegrini – giovani e meno giovani – che invece hanno vissuto l’intero percorso.
Li riconosci subito: zaino, bisaccia, bastone… e la conchiglia.
La conchiglia di San Giacomo, o capasanta, è il simbolo del pellegrinaggio a Compostela.
Una volta si raccoglieva sulle spiagge dell’oceano e la si portava a casa, a dimostrazione che la meta era stata raggiunta.
Oggi la trovi ovunque: su portoni, segnali stradali, souvenir. È il segno della spiritualità diffusa del Camino.
E poi arrivi lì, davanti alla Cattedrale, imponente, solenne, incastonata nel cuore della città.
Lì riposa, secondo la tradizione, l’apostolo Giacomo.
E lì, se hai fortuna, puoi assistere al celebre rito del botafumeiro: un gigantesco incensiere (1,60 metri, 53 chili) sospeso sotto la cupola, che otto uomini – i tiraboleiros – fanno oscillare come un pendolo lungo tutta la navata.
Raggiunge anche i 70 km orari: un volo d’incenso e fede che toglie il fiato, un colpo d’occhio che resta impresso per sempre.
Ma il camino non finisce in Cattedrale.
Per chi vuole davvero arrivare alla fine del mondo, bisogna proseguire per altri 90 chilometri fino a Cabo Fisterra: il Finisterre dei romani.
Qui, davanti all’oceano infinito, i pellegrini medievali completavano il loro percorso con un bagno rituale nelle acque gelide, bruciavano i vestiti del cammino e guardavano il sole tramontare sul nulla.
Oggi c’è un faro, e un cippo di pietra che segna il “chilometro zero”. Ma l’emozione è intatta.
Si dice che Dio, il settimo giorno, abbia appoggiato la mano sulla terra per riposarsi, e che dove posò le dita nacquero i rias.
Può sembrare leggenda.
Ma basta un viaggio in Galizia per capire che qui, tra pietra, oceano e silenzio, la leggenda e la verità si somigliano molto.
E se un giorno deciderete di partire con il caval di San Francesco, non mi resta che augurarvi: Buen Camino.
Umberto Baldo

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