12 Giugno 2025 - 9.52

Italiani all’estero: ambasciatori di cafonaggine in missione internazionale

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di Alessandro Cammarano

Ogni estate, milioni di italiani varcano i confini nazionali con lo zelo di missionari culturali, pronti a diffondere nel mondo la sacra trinità del cliché: moda, cucina e superiorità morale. Ma sotto l’ombrellone di Marbella, nella viuzza di Praga o tra le risaie di Bali, ecco che riemerge lui: il cafone da esportazione, in tutte le sue infinite declinazioni.
Di seguito, un catalogo-bestiario – in aggiornamento perpetuo – dei principali esemplari osservati sul campo.

Il turista da aereo.

Inizia tutto sul Boeing 737 della low-cost più scrausa del mondo. Pochi secondi dopo l’atterraggio, esplode l’applauso liberatorio, rito collettivo che unisce nord e sud, laureati e muratori. Il turista da pista applaude come allo stadio, si alza in piedi mentre l’aereo ancora rulla e si sente già cittadino del mondo — rigorosamente in canotta con l’aquila e ciabatte che raccontano una storia. Il check-in lo ha fatto urlando al telefono e il gate lo ha raggiunto correndo, come se stesse perdendo il regionale veloce per Frosinone.

Il gastronomo offeso

Appena seduto nel ristorantino locale, scruta il menu come un esperto d’arte davanti a un falso; ordina un piatto tipico con aria sospetta e poi, immancabile, sbotta: “Ma questa pasta è scotta! Mica come quella della nonna!”. A Tokyo si lamenta che il sushi è troppo crudo, a Parigi che la baguette “non sa di niente”.
Pretende il parmigiano ovunque, anche nel phở vietnamita e l’unico ristorante che apprezza è quello “italiano” aperto da un napoletano emigrato nel 1972 che usa ingredienti che un avvoltoio saprofago schiferebbe alla grande.

Il sovranista della forchetta

Parente stretto del gastronomo offeso di cui sopra, questo soggetto non si limita a criticare: emette sentenze dogmatiche su ogni cosa. “Il caffè non è lo stesso”, “la pizza è meglio a Napoli”, “in Italia abbiamo tutto”.
È il patriota culinario che va all’estero solo per confermare quanto l’Italia sia superiore. Se potesse, porterebbe in valigia una moka, un etto di prosciutto crudo e la madre col grembiule da cucina incorporato.

Il re delle regole (degli altri)

Le norme locali sono per gli altri, perché lui parcheggia ovunque, entra nei luoghi di culto in pantaloncini al grido di “Siamo nel 2025, sveglia!” e nei musei urla come se fosse a casa sua.
Se gli fanno notare qualcosa, si offende. “Ma guarda questi, che permalosi…”. Il concetto di rispetto culturale gli è estraneo: “Questa è libertà, mica il medioevo!”.

Il genio della mancia

Quando arriva il conto, inizia lo spettacolo: estrae il portafoglio come uno scassinatore, setaccia ogni tasca e lascia in mancia 27 centesimi, assortiti in rame, per poi giustificarsi con un patetico: “In Italia non si usa!”.
La mancia è per lui un insulto personale, un tradimento della patria. Se potesse, chiederebbe pure il resto.

Il lamentoso seriale

Nulla va bene. Il materasso in albergo è troppo duro, il clima è troppo umido, la gente troppo fredda, l’acqua sa di cloro, i taxi costano troppo e “i conducenti non parlano manco l’italiano”.
Ogni dettaglio è un’occasione per ripetere il mantra: “In Italia sì che…”; ma allora, verrebbe da chiedergli, perché sei venuto? “Per cambiare aria”, risponde, mentre annusa con nostalgia una cialda di caffè usata che si è portato da casa.

Il genitore “zen” di bambini apocalittici

Sorseggia mojito, ovviamente scrollando le storie di TikTok, mentre la prole si trasforma in uragano umano; i bambini italiani corrono ovunque, ululano nei ristoranti, fanno inciampare i camerieri al bar, sfrangono gli zebedei ai commensali dei tavoli adiacenti nella sala colazioni, giocano a calcio vicino alla cassa in rosticceria.
I genitori non li contengono: li giustificano. “Eh, sono bambini…”; e se qualcuno osa obiettare, arriva la sentenza: “Qui non sono abituati ai bambini veri!”, chiosando con un minaccioso-sibilante “Vedrete che cosa vi scriveremo su Tripadvisor”. I piccoli Gengis-Kahn, nel frattempo, hanno ribaltato tre lettini e preso possesso della piscina come nemmeno gli hooligans britannici negli anni ‘90.

Il Casanova Itinerante

Ha superato abbondantemente i 50, ma porta ancora la camicia sbottonata fino allo sterno, un catenone di similoro e occhiali da sole anche di notte. A ogni angolo, lancia sguardi felini a turiste ignare, convinto che basti un “ciao bella” detto con voce roca alla Califano per aprire cuori e camere d’hotel. Quando riceve silenzi o risatine imbarazzate, borbotta: “Queste straniere sono fredde… altro che le nostre!”. Si appoggia al bancone come fosse un film anni ’80, ma il film è un cinepanettone horror.

Il ceatore digitale “de’ noantri”

Documenta tutto, ma non guarda niente, si scatta selfie davanti ai monumenti, ma non sa dire cosa rappresentano, fa dirette Instagram dai mercati locali, ma poi mangia le lasagne scotte del villaggio turistico, il tutto condito da un “Raga, che vibes incredibili!”.
Ha un drone, un bastone da selfie e zero curiosità; per lui, il viaggio è un pretesto per dire “ci sono stato”, non per capire dov’era.

Il campione di comparazioni inutili

La sua specialità è il confronto costante e sterile. “In Italia spendi meno”, “da noi la gente è più affabile”, “le spiagge nostrane sono più pulite”. Vive in un eterno derby tra estero e Belpaese, che ovviamente vince sempre. Se piove a Berlino: “Da noi a giugno è già estate!”, se c’è ordine a Tokyo: “Troppo freddi, da noi c’è vita!”. Lamentarsi è un’arte, e in questo lui è Michelangelo.

Questi, in conclusione i nostri imbarazzanti connazionali.
Viaggiatori per convenienza, ambasciatori involontari di una certa idea d’Italia: rumorosa, nostalgica, insoddisfatta. Ogni estate, partono come esploratori e tornano come giudici, esportano luoghi comuni, importano selfie e alla fine, ripensando al viaggio, commentano con orgoglio: “Comunque, come in Italia non ce n’è”.

Peccato solo che non sempre sia un complimento.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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