17 Febbraio 2023 - 9.32

801° Anno accademico a Padova – Polemiche su “merito” e suicidi

Umberto Baldo

Come da tradizione che affonda nei secoli, lo scorso 13 febbraio  il Magnifico  Rettore dell’Università degli Studi di Padova  Daniela Mapelli  ha dichiarato aperto l’ 801° Anno Accademico.

Si sa che nel corso di questa cerimonia sono previsti interventi delle Autorità presenti, e fra queste anche dei Rappresentanti degli studenti.

Un certo clamore ha suscitato il discorso pronunciato da Emma Ruzzon, ventitreenne studentessa di Lettere Moderne di Monselice, che ricopre la carica di Presidente del Consiglio degli Studenti.

Il suo intervento ha fatto rapidamente il giro dello Stivale, ed è stato ripreso e commentato dai principali quotidiani, nonché ovviamente dai social media.

Di seguito esprimerò il mio pensiero su quanto detto dalla Ruzzon, e poiché non sempre è facile farsi un’idea se non ne se conoscono appieno i contenuti, ho postato sul mio blog il testo integrale, che ho tratto dal quotidiano La Stampa (apprezzando questa scelta del giornale). 

Pertanto chi di voi volesse documentarsi basta che acceda al blog umbertobaldo@blogspot.com  e cerchi il post “Testo dell’intervento di Emma Ruzzon all’apertura dell’anno accademico Università di Padova”.

Parto dalle parole con cui Emma Ruzzon ha aperto il suo intervento: “A 20 anni è il più giovane laureato d’Italia”.  –  “Studente trovato morto, da mesi non dava esami”. – “Gemelli laureati insieme: “Il segreto? Una sana competizione”. – “Si suicida all’università: aveva mentito alla famiglia, gli esami erano inventati”. –  “A 23 anni è medico: “Per me il sonno è tempo perso”. –  “Cinque lauree in sei anni. Studente dei record racconta il suo metodo geniale”. –  “Studentessa di 19 anni si suicida nella sua Università: La mia vita è un fallimento”……..

Risulta evidente come l’obiettivo sia quello di evidenziare le profonde contraddizioni che secondo la Ruzzon caratterizzano il percorso universitario.

Tanto che, dopo aver calcato sul delicato e doloroso problema del suicidio di qualche studente, il suo ragionamento si è poi spostato sul tema del merito, sull’eccessiva competizione in ambito universitario, e sulle pressioni di cui sarebbero vittime gli studenti, nell’ambito di una narrazione di un’Università in cui, secondo lei, si: “…celebrano eccellenze straordinarie facendoci credere che debbano essere ordinarie, facendoci credere che siano normali…”.

In una visione di insieme, concordo con Ruzzon quando dice che il sistema delle borse di studio dovrebbe funzionare alla perfezione, perché è l’assunto per poter garantire il principio costituzionale che se uno si impegna ed è meritevole, ma non ha i mezzi, lo Stato deve aiutarlo.  Come pure ha ragione denunciando che qualcosa bisognerebbe pur fare anche sul fronte degli alloggi per studenti. 

Volendo ha ragione anche sul fatto che una volta laureati dovrebbero esserci le condizioni per poter trovare un lavoro decentemente retribuito, senza magari dover emigrare all’estero, ma già qui il discorso diventa più insidioso. 

Trovo invece del tutto fuori contesto i successivi richiami ai suicidi in carcere, alla catastrofe climatica, al diritto all’aborto, all’ “…accanimento verso gli ultimi e il calpestamento dei diritti civili e sociali sono atteggiamenti che appartengono a uno dei periodi più bui della storia del nostro Paese…”.

Cosa c’entri tutto questo con il tema dell’Università lo sa solo la nostra Presidente Ruzzon!  Spiace dirlo ma mi sa tanto di polemica politica gratuita!

Ma venendo alle cose che invece mi trovano in totale disaccordo, parto dal “merito”, relativamente al quale la Ruzzon ha usato queste espressioni: “Sentiamo il peso di aspettative asfissianti che non tengono in considerazione il bisogno umano di procedere con i propri tempi, nei propri modi…” –   “Con quale coraggio possiamo ascoltare il bisogno umano di rallentare? Ci viene insegnato che fermarsi significa deludere delle aspettative, sociali e molto spesso familiari. Fermarsi vuol dire rimanere indietro. Ma quand’è che studiare è diventato una gara? Da quando formarsi è diventato secondario rispetto al performare?” – “La corona d’alloro (la laurea ovviamente) non deve significare l’eccellenza, la competizione sfrenata. Deve essere simbolo del completamento di un percorso che è personale, di liberazione attraverso il sapere..”.   

Pare chiaro che si è trattato di una filippica contro il “merito” nelle scuole, per cui se ne deduce che non sarebbe giusto che uno studente, per ottenere risultati,  debba impegnarsi, correre, sacrificarsi, evitare di andare fuori corso.

Mi sento di dire che si percepisce una visione “onirica”, perché da sempre il compito dell’Università è quello di formare laureati preparati e possibilmente eccellenti, e quello degli studenti di rispettare i tempi e superare gli esami con il miglior voto possibile.

Dopo di che ognuno è libero di fare quello che vuole, anche fermarsi, anche laurearsi tardi e male, salvo poi che non si lagni perché magari finirà per  trovarsi  disoccupato.

Perché hai voglia a dire che “…non è una sessione o la nostra media a definire chi siamo…”, ma quando un’azienda deve assumere, inevitabilmente cerca il meglio che può trovare sul mercato.

Portando un’esperienza personale, ricordo che avendo la Banca dove lavoravo acquisito un’altra Banca in Calabria, e dovendo procedere ad un certo numero di assunzioni, mi trovai a dover “scremare” fra 5.000 domande,  cercando di individuare i candidati più promettenti.

Ricordo che mi arrovellai per giorni nel cercare di individuare criteri oggettivi per la selezione, ma quando hai 5.000 domande, e devi assumere in tempi rapidi solo 20 persone,  conclusi che l’unico elemento su cui  basare la “scrematura” fosse in  primis il tipo di laurea, e poi inevitabilmente  il voto finale.

Lo so bene che il voto è un criterio estremamente selettivo, ma trovatemene un altro se vi tocca smazzarvi 5000 domande con relativo curriculum vitae e studiorum in tempi brevissimi.

Come pure so bene che un voto o una media di voti non definiscono una persona, ma per valutarne il rilievo credo basti rispondere alla domanda: preferireste essere operato da un chirurgo laureato con il 110 e lode in 6 anni, o da un suo collega che ha rifiutato la “gara” del voto, ed ha completato gli studi con anni di ritardo, in un percorso di “liberazione attraverso il sapere”?

Mi rendo conto che si tratta di un tema in cui è facile annegare, ma il mio timore è che i mali della scuola italiana si siano ormai trasferiti e sedimentati anche all’Università.

Spiegandomi meglio, dal 1968 si è detto ai giovani che il merito conta poco o nulla, che i voti sono simboli e strumenti dell’autoritarismo, che la cultura di base è ormai superata.

E se fino ad ora “merito” era una parola tabù, cui non si doveva nemmeno accennare per non turbare gli equilibri dei “pargoli”, o forse dei “bamboccioni” come ebbe a definirli Elsa Fornero, diventa ora difficile spiegare loro che ad un certo punto della vita per ottenere qualcosa devi conquistartela, perché nessuno ti regala nulla.

E per quello che conta, la cosa mi preoccupa, e mi  rende piuttosto pessimista sul futuro, perché questi ragazzi dovranno misurarsi con altri giovani, cinesi, indiani, americani, coreani del sud, europei ecc., ragazzi che sono stati selezionati,  educati e formati nel mito dell’eccellenza e del merito.

Di conseguenza continuerà la fuga dei nostri migliori cervelli verso altri Paesi, mentre quelli che all’Università hanno cercato il “benessere psicologico” si dovranno adattare agli stipendi ed alle carriere offerte dal mercato italiano del lavoro; e non sarà molto in verità.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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