3 Ottobre 2019 - 11.14

Turisti a Vicenza: dai cinesi fracassoni ai russi spendaccioni… e comunque benvenuti a tutti!

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di Alessandro Cammarano

Vicenza città UNESCO, culla dell’architettura palladiana, meta di turismo fin dai tempi del Grand Tour. C’è da dire che il viaggiatore del Diciannovesimo secolo e quello del secolo successivo, almeno fino agli anni Settanta, era un visitatore consapevole, potremmo dire d’élite – ma non vorremmo apparire snob – preparato e poliglotta, curioso.

Negli ultimi decenni il turismo “culturale” ha assunto dimensioni di raccapricciante drammaticità; se Venezia – anche per colpa dei veneziani che hanno trasformato la città in un enorme B&B, affittando ai gitanti pure le tane dei topi – piange Vicenza, magari in forma minore non ride.

Le grandi mostre – che Dio le benedica sempre! – hanno portato legioni di turisti internazionali, organizzati e non, e lustro meritato alla città, ma hanno aperto la strada anche a masse di “curiosi” più che di acculturati.

È divertentissimo passeggiare per il centro osservando i vari gruppi che si aggirano per le strade adiacenti al Corso: si impara tantissimo sulla natura umana e sulle dinamiche dei diversi agglomerati umani.

La mattina, prestissimo, i primi a scendere in pista sono i germanici, suddivisibili in vari sottotipi come “I figli di Odino”, “I Sudditi di Maria Teresa”, “I Vichinghi disorganizzati”, “Spedizione punitiva”; i germanofoni sono inquadratissimi, il manipolo non si sgrana mai rimanendo compatto come una testuggine romana. Se li si trova in una strada stretta è impossibile fendere la loro formazione corazzata, tetragona a qualunque intervento esterno; si deve fare buon viso a cattivo gioco rassegnandosi ad ascoltare la spiegazione della guida che magnifica le opere architettoniche di “Antréa Palàtio”.

Più ondivaghi i Francesi, generalmente avanti con gli anni e che maneggiano i loro bastoni con la leggerezza di un Maurice Chévalier; formazione più sgranata, con lo svampito di turno che resta indietro e, vistosi perso, chiede al primo passante che incontra, e sforzandosi di parlare in italiano, “mi scusì, avete per casò visto dovè andata la mia amicà Josette?”. Seguono espressioni facciali dell’interrogato tanto da far supporre che si tratti di un marziano di passaggio e che replica con un “A me scusa, ma lu nol parla mia italiàn?”.

Gli anglosassoni, divisibili in “Vittoriani” e “Yankees”, sono meravigliosi: i “Vittoriani”, con la classe altera che contraddistingue chi è stato padrone del mondo per cinquecento anni sono preparatissimi, giovani o vecchi che siano sono in grado di disegnare su minuscoli blocchi qualsiasi cosa vedano, fanno domande pertinenti e non perdono mai di vista il capogìta che è immediatamente riconoscibile anche perché quasi sempre somiglia al generale Montgomery.

Gli Yankee si dimostrano più interessati al cibo, cordiali e casinisti fanno tenerezza nel loro stupirsi del fatto che esistano monumenti anteriori alla scoperta dell’America.

Tremendi i Russi, ai quali non importa nulla di dove si trovino, attentissimi però a trovare la giusta occasione per esibire rotoli di banconote da cinquecento euro con i quali mettere in imbarazzo chiunque. Il panettiere che si trova a dover dare quattrocentonovantotto euro di resto ad un moscovita che ha comprato due “mantovanine” preferirebbe un’immediata deportazione a Novosibirsk in pieno inverno.

Meravigliosi i Giapponesi, che come tutti sanno sono troppo perfetti per essere terrestri; educati in maniera imbarazzante, raccolgono da terra anche le cartacce gettate dai Russi di cui sopra, arrivano conoscendo la storia di ogni singolo mattone di qualsiasi monumento e fanno l’inchino alla guida e qualche volta anche alle statue.

La palma dell’orrore va ai Cinesi: rumorosi come uno stormo di fringuelli assatanati, tanto che le urla della comitiva in Piazza dei Signori è perfettamente udibile anche a Piazza Matteotti ancorché a sfavore di vento. Mangiano in continuazione, scostano i passanti con la grazia di un mediano di spinta e sono vagamente tirchi.

Abbiamo lasciato per ultima una categoria nostrana, la più pericolosa perché si tende a sottovalutarla: le vedove organizzate.

In realtà non sono necessariamente vedove, alcuni mariti sono ancora in vita ma preferiscono fingersi morti; molte sono professoresse in pensione, si esprimono in un meraviglioso italiano dal sapore vagamente arcaico, dicono “giuoco” e “cinematografo”, sono documentate o fingono di esserlo, spesso contraddicono la guida apostrofandola con frasi del tipo “No, guardi signorina, non è così, si fidi. Io quando Veronese dipinse il quadro ero presente”. Meravigliose!

Abbiamo scherzato. Ben vengano i turisti, tutti. Le cartacce le tiriamo su noi, volentieri, tanto ci aiutano i Giapponesi.

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