10 Gennaio 2020 - 18.25

Harry e Megan – Dio salvi la Regina… irritata

di Stefano Diceopoli

Da qualche giorno i giornali ed i media di tutto il mondo stanno dedicando ampio spazio alla notizia delle “dimissioni”, non saprei come altro definirle,  dalla famiglia reale britannica del principe Harry e di sua moglie Meghan Marckle, a suo tempo insigniti del titolo di duchi del Sussex.
Pazienza i tabloid inglesi, da sempre prodighi di notizie sulle vicende dei Windsor, in quanto i sudditi di Sua Maestà Britannica sono avidi di notizie relative alla vita dei membri della casa reale.
Ma mi ha stupito vedere che di questo tema si sono interessate anche testate quali il nostro Sole 24 Ore, nel quale uno si aspetta di trovare notizie di carattere economico, e non gossip riguardante le “teste coronate”.

Perché ci interessano tanto le vicende personali di re, regine, principi, principesse, duchi, duchesse, e della nobiltà in genere?
Perché i giornali di queste teste coronati riportano fedelmente ogni mossa pubblica, ed anche privata, ogni loro sospiro, ogni cambio d’abito, le fogge dei cappellini indossati?
Non è facile spiegarlo, ma sicuramente c’è un nesso con il fatto che la fantasia dei bambini sia popolata di principi azzurri con relative principesse da salvare ed impalmare. 
Tutti i popoli nella storia sono stati governati da un Re, ed in quest’ottica la regalità diventa così l’ultimo stadio di una strana mescolanza tra il mondo delle fiabe e l’orgoglio nazionale.
Ecco perché pochissimi riescono a resistere alla tentazione di leggere, o almeno sbirciare, un articolo che parla ad esempio della regina di Spagna, piuttosto che di quella di Svezia o di Olanda.
Fra l’altro, nel mondo le monarchie sono ancora ben presenti, tanto che il 22% delle 193 nazioni rappresentate alle Nazioni Unite sono rette da un Re o da una Regina, compreso lo Stato Vaticano, da sempre governato da un monarca assoluto, il Papa.  E per restare all’Europa oltre alla Gran Bretagna, sono monarchie la Spagna, il Belgio, la Danimarca, il Liechtenstein, il Lussemburgo, la Norvegia, i Paesi Bassi, Monaco e la Svezia.
Per tornare all’Inghilterra, anche lì c’è una minoranza, molto ristretta, di cittadini che pensano che la monarchia sia un anacronismo, il perpetuarsi di un sistema non democratico, per certi versi kitsch.  E che preferirebbero non dover più mantenere una casta di nobili che godono di una incredibile agiatezza, senza aver alcun merito se non quello di essere nati in certe famiglie, e che oltretutto, politicamente parlando, hanno una funzione puramente “decorativa”. Che per di più costa ai contribuenti britannici circa 384 milioni di euro l’anno, importo molto superiore non solo al costo medio delle Presidenze delle Repubbliche europee, ma anche a quello delle altre monarchie del vecchio continente (quella spagnola ad esempio grava sul bilancio dello Stato per 10 milioni di euro, e quella degli altri regni è assimilabile ai costi di una normale Repubblica).
Ma resta il fatto che la stragrande maggioranza degli inglesi rimane fedele alla tradizione monarchica ed ai suoi fasti, e di conseguenza lo “strappo” del principe Harry continuerà per lungo tempo a catalizzare l’attenzione morbosa dei media e dei loro lettori.
In relazione ai costi di cui parlavamo sopra, va sottolineato che, a differenza delle altre monarchie europee, quella inglese rappresenta per lo Stato un vero e proprio valore aggiunto di carattere economico.  Tanto che la società londinese “Brand Finance” ha calcolato che nel 2017 il marchio (o brand se preferite) “Corona Britannica” aveva un valore di 67,5 miliardi di sterline, e generava un indotto per l’economia di circa 1,76 miliardi (circa 2 miliardi di euro).  Cifre importanti, che derivano oltre che dalle rendite degli immobili e dal turismo, anche dallo sfruttamento dei marchi reali per finalità commerciali.
E non parliamo solo della Regina Elisabetta II, perché il brand famiglia reale comprende anche i suoi figli, e soprattutto i nipoti.  Lo abbiamo visto in occasione dei matrimoni tra i principi del Galles William e Kate prima, o poi tra Harry e Meghan.   Questi personaggi, soprattutto le giovani nipoti acquisite Kate e Meghan, sono delle vere e proprie “influencer”, in grado di indirizzare le mode, e quindi di muovere i consumi. 
Ma perché quanto annunciato dal duca del Sussex è stato definito uno strappo?
Perché è la prima volta dal 1066, anno di nascita della monarchia inglese,  che un  membro decide di “dimettersi”  dalla casa reale.
Certo c’era stato il precedente dello zio di Elisabetta, re Edoardo VIII, che nel 1936 abdicò per continuare la sua storia d’amore con l’ereditiera americana Wallis Simpson.
Ma al di là degli effetti analoghi, quella di Harry non è un’abdicazione, anche perché il duca è solo sesto in linea di successione.
A voler essere maligni si potrebbe pensare che in realtà Harry non ha rinunciato a nulla, perché per poter diventare Re d’Inghilterra dovrebbe verificarsi una vera e propria ecatombe, con la morte oltre che di Elisabetta II, anche del 70enne principe Carlo, del di lui figlio principe William, e dei tre figli di quest’ultimo George, Charlotte e Louis.
Comunque resta il fatto “epocale” che, per la seconda volta in meno di un secolo, un componente della famiglia reale inglese decide di abbandonare la “Royal family”, annunciando di voler mantenersi economicamente da solo, garantendo comunque il proprio sostegno alla corona.
E l’annuncio lo hanno dato senza avvertire nessuno, per di più utilizzando Instagram, con un messaggio in cui spiegano poco di cosa intendano fare nel futuro, ma menzionano il lancio di una “nuova associazione di beneficienza”.  E’ comprensibile quindi il “gelo” e l’irritazione con cui ha accolto la notizia la Regina Elisabetta, che rispettando il consueto aplomb britannico” ha risposto con un comunicato ufficiale che non lascia spazio a molte interpretazioni: “Comprendiamo il loro desiderio di adottare un approccio diverso, ma si tratta di questioni complicate, che richiederanno  tempo per essere risolte”.
Siete per caso preoccupati di come farà Harry a sbarcare il lunario?
State sereni, perché non li vedremo fare la coda alla Caritas per un piatto di minestra, o chiedere un letto in un dormitorio pubblico.
La ex coppia reale non dovrà certo fare un mutuo per comprarsi una casetta.
Harry ha qualche risparmio da parte, e precisamente un patrimonio personale stimato da Forbes in circa 30 milioni di sterline, derivante in parte dell’eredità della madre Diana ed in parte da quella della bisnonna, la Regina Madre.
Ma la sensazione è che i duchi di Sussex, titolo che hanno annunciato di voler mantenere, siano, come dire, “più furbi che santi”.
Nel senso che, al di là degli aspetti dinastici, l’abbandono assomiglia molto ad una geniale mossa di marketing.  Il duo Harry-Meghan intenderebbe cioè sganciarsi dai noiosi obblighi di corte, senza però rinunciare a titolo e privilegi, per cercare di sfruttare al massimo l’ immagine di personaggi pubblici, di influencer/testimonial come si dice usando un linguaggio moderno.
E che questo disegno sia ben presente da tempo nelle loro teste lo dimostra il fatto che l’anno scorso avevano già registrato il loro nome come marchio commerciale.  Nome che, sfruttato per apparizioni televisive, ospitate, sponsorizzazioni, eventi, libri, secondo gli esperti porterebbe nelle tasche dei duchi milioni di sterline, o di dollari non fa differenza.
Ma nell’attesa di incassare i frutti della loro nuova attività la ditta Herry&Meghan, salvo che il principe Carlo decida diversamente, potrebbe continuare a ricevere l’appannaggio di 3 milioni l’anno che il Ducato di Cornovaglia paga al Principe di Galles ed ai suoi eredi.
Come avrete  ben capito, anche questa vicenda, che comunque la si veda apre il tema finora ignoto di un conflitto all’interno della famiglia reale britannica, dal punto di vista economico conferma il principio che “piove sempre sul bagnato”!
Certo che all’inossidabile Regina Elisabetta la famiglia ne ha creato di problemi.  E la reputazione dei Windsor non è mai stata così grigia dall’estate del 1992, quando i piedi di Sarah Ferguson, fresca di separazione dal principe Andrea, finirono in prima pagina, ed in bocca del suo “consulente finanziario”, e quasi in contemporanea uscirono le conversazioni fra Diana Spencer ed il suo presunto amante e quelle di Carlo con Camilla, e l’annuncio dell’addio della Principessa Anna al capitano Mark Phillips.
Anche il 2019 è stata una brutta annata per la Regina, prima per le frequentazioni del Principe Andrea con il multimiliardario pedofilo Jeffrey Epstein, ed ora per il “divorzio” del nipote Harry.
Non sarà certo questo ulteriore scandalo ad intaccare l’immagine di una donna che da 68 anni regna sulla Gran Bretagna, ma le “fragilità” e le “cadute di stile” dei suoi discendenti pongono senza dubbio il problema dei rischi per una monarchia nel mondo contemporaneo.
E ciò perché, a differenza delle democrazie e delle oligarchie, che hanno incorporato sistemi per rinnovare la loro classe dirigente, una monarchia è per definizione soggetta ai capricci della storia.
Nel senso che il fatto che un monarca si dimostri all’altezza del proprio ruolo è un fatto puramente casuale, e trovarne uno di pessima qualità può essere molto pericoloso per la continuità di una dinastia.
Per quanto attiene al futuro dei Windsor non sono pochi a ritenere che il Principe Carlo, per l’età ormai avanzata, e per alcune sue eccentricità, potrebbe non essere adatto a succedere a tale madre.
Forse è per questo che a 93 anni suonati Elisabetta continua imperterrita a tenere duro.
God save the Queen!

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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