3 Novembre 2020 - 10.41

Cultura e ‘teatranti’ generano soldi!

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di Alessandro Cammarano

Ci siamo dentro di nuovo fino al collo, con buona pace dei negazionisti e dei leoncini da tastiera – per lo più a bassa scolarizzazione – che commentano con emoticon ridanciane le notizie sulla ripresa della curva dei contagi e delle misure conseguenti; come ampiamente previsto il virus torna a circolare con prepotenza, anche per colpa di chi durante l’estate ha fatto un po’ come ha voluto e pure per la non secondaria responsabilità di chi doveva vigilare e pianificare un impatto minore sulle strutture sanitarie, sulla scuola e sui trasporti.

Tutte le categorie produttive sono in sofferenza, la ristorazione è di fatto a remengo – per dovere di cronaca bisognerebbe ricordare che nei mesi scorsi nei luoghi di vacanza le distanze tra i tavoli sono andate accorciandosi e che il termoscanner al bar non si è mai visto – così come le palestre, invece immediatamente adeguatesi alla normativa di profilassi: una però soffre dal primo momento e continua a soffrire, ed è quella dello spettacolo.

Ai teatri sono state imposte regole rigidissime che sono state applicate alla lettera, sia per quanto riguarda le rappresentazioni in luoghi chiusi che per quel che concerne quelle all’aperto. Intendiamoci, il teatro non è esente dal virus – è di qualche giorno fa la notizia della messa in quarantena dell’Orchestra del Teatro alla Scala a seguito della coperta di una ventina di positivi tra le maestranze – ma per il pubblico, che entra ed esce senza assembrarsi, resta seduto al proprio posto e non toglie mai la mascherina una sala da concerto o un cinema restano luoghi più sicuri di un mercato rionale o di un autobus.

I festival estivi, tra cambi di programmazione e reinvenzione degli spazi, si sono in maggioranza svolti e con riscontri di pubblico lusinghieri; adesso siamo di nuovo nel gorgo dell’incertezza.

I lavoratori dello spettacolo sono stati dimenticati dalla politica e soprattutto da chi avrebbe il dovere di tutelarli, ovvero dal ministro Dario Franceschini – che sembra avere ogni giorno di più in odio il teatro, l’opera e i concerti – “addolorato” e inattivo di fronte ai problemi di molti.

Ai “teatranti” manca la solidarietà che la gente riserva ad altre categorie, che pur la meritano, facendo una sorta di classifica tra chi ai loro occhi è importante e chi lo è meno; purtroppo i musicisti, i cantanti, gli attori, gli scenografi i costumisti, i registi e tutti gli altri liberi  professionisti dello spettacolo dal vivo sono nella concezione dell’italiano medio dei simpatici perditempo che fanno quello che fanno per puro diletto, gente che “dovrebbe cercarsi un lavoro” anche se, come ebbe a dire in una sua infelicissima uscita Giuseppe Conte “ci fanno tanto divertire”.

A tutti coloro, e sono moltissimi, che reputano le professioni dello spettacolo puri passatempi andrebbe ricordato che con la cultura si generano introiti.

Un teatro che funziona e che paga con regolarità gli artisti – e su questo sarebbe da aprire un altro capitolo – è a tutti gli effetti un’azienda capace di produrre utili insieme alla cultura, di essere un volano per l’indotto di una città. Non è un concetto difficile da comprendere, se non ci si ferma alle chiacchiere da bar e ai luoghi comuni tanto cari alle italiche genti.

Fortunatamente i diretti interessati non ci stanno – e ci mancherebbe altro – e civilissime manifestazioni di piazza si sono svolte sotto il nome di “Assenza spettacolare” a Milano, a Roma a Bologna e in altre piazze italiane, con la partecipazione di lavoratori privi di qualsiasi tutela e che lo Stato ha sempre finto di non vedere.

Gli artisti chiedono tutele, un sistema previdenziale che li sostenga perché, lo si dica ancora una volta, la Cultura non è un passatempo ma l’anima stessa di una nazione che in essa dovrebbe ritrovarsi e crescere.

Si tengano aperte le scuole e, appena possibile, si permetta al pubblico di tornare a teatro e al cinema, magari dopo un’ora di palestra: di spettacolo dal vivo ce né davvero bisogno.

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