22 Luglio 2025 - 9.57

Vietato essere britannici. La nuova Inquisizione del politicamente corretto

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Provate a immaginare questa scena, che sembra uscita da una puntata particolarmente demenziale di “Black Mirror”, e invece è cronaca vera: una scuola organizza con entusiasmo la “Giornata della celebrazione delle culture”. 

Obiettivo dichiarato? 

Promuovere inclusione, comprensione e apprezzamento delle diversità culturali. Bene, direte. Bell’iniziativa.

Benvenuti nella Nuova Gran Bretagna Democratica Popolare Inclusiva Wokista, dove tutto è permesso, tranne essere britannici.

Ma andiamo con ordine. 

Courtney Wright, 12 anni, brava studentessa, senza precedenti né disciplinari né politici, si presenta a scuola fiera, vestita con un abito che ripropone i colori della bandiera britannica – la famigerata Union Jack – pronta a parlare del tè delle cinque, del fish & chips e persino, udite udite, del senso dell’umorismo inglese (ormai materia estinta). 

In mano, un discorsetto commovente sui valori della gentilezza e della correttezza. 

Risultato? 

Espulsa dalla classe, segregata nella reception, trattata alla stregua di un hooligan, e riconsegnata al padre come se avesse portato a scuola una svastica.

La spiegazione ufficiale degli insegnanti è degna della miglior satira: “Lei può essere britannica ogni giorno, oggi è il giorno per celebrare gli altri”. 

Traduzione: in questa scuola, se sei nigeriano, pakistano, bengalese o norvegese, ti celebriamo con tutti gli onori. 

Ma se sei inglese, sei default, sei il problema, sei il colonizzatore, il razzista, il cattivo della fiaba. 

L’identità britannica va tenuta sotto silenzio, sussurrata, magari in un sottoscala.

Questa non è un’esagerazione, non è una trovata satirica. 

È successo davvero, alla Bilton School di Rugby, nel Warwickshire, diventata l’epicentro del paradosso educativo britannico. 

E se pensate che sia un caso isolato, vi sbagliate: un ragazzino vestito da contadino inglese (berretto e camicia a quadri) respinto al cancello, uno con la bandiera di San Giorgio bloccato come un pericoloso estremista, uno con la bandiera gallese trattato come se avesse indossato una tunica del Ku Klux Klan. 

Nel frattempo: il compagno con la kefiah? Applausi.
La ragazzina col niqab? Standing ovation.
Il bimbo con l’abito tradizionale nigeriano? Foto su Instagram con #diversità.
Il piccolo Gallese con la sua bandiera rossa? Respinto ai cancelli come un contrabbandiere di whisky.

Il padre di Courtney, giustamente furibondo, ha denunciato il tutto sui social:  “Courtney era così imbarazzata e non riusciva a capire cosa avesse fatto di sbagliato. Non dovrebbe essere punita per aver celebrato il fatto di essere britannica; nessun altro con cui ho parlato riesce a capirlo. Qualcuno a scuola ha politicizzato un vestito con la Union Jack, anche se chiaramente non era l’intenzione di Courtney. Courtney non ha fatto nulla per essere politica. Si tratta di essere inglesi, delle Spice Girls e anche della libertà di poter indossare un abito. Questo è proprio ciò che significa per lei essere britannica”.

E ancora: “Voleva celebrare il fatto di essere britannica, non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato in questo. Non è stata l’unica bambina ad essere presa di mira: un bambino di origine agricola è stato respinto ai cancelli per aver indossato il tradizionale berretto piatto e la camicia a quadri.  Un altro con una bandiera di St Georges e un altro con una bandiera gallese non sono stati ammessi in nessuno dei due. Era ridicolo. Sembrava che tutto ciò che era lontanamente britannico non fosse permesso. Ad altri è stato permesso di indossare burqa, niqab o abiti tradizionali nigeriani”. E

Ovviamente la storia ha fatto il giro del mondo, provocando reazioni e sostegno  dalla Polonia all’Australia.

E meno male. Perché serve a ricordarci che siamo ormai al delirio. 

L’identità nazionale britannica nella scuola di Rugby è diventata un tabù, una colpa da espiare, una vergogna da cancellare.

La bandiera? Offensiva. La cultura inglese? Tossica. L’ironia di Mr. Bean? Microaggressione. Il tè con il latte? Supremazia bianca. Le Spice Girls? Colonialismo glitterato.

La scuola, colta con le mani nella marmellata ideologica, ha fatto il solito penoso comunicato: “Ci scusiamo, faremo meglio, impareremo dall’episodio

Il che, nel linguaggio woke, significa: “Ci avete beccati, ma continueremo a fare la stessa roba finché non ci beccate di nuovo”.

Certo la scuola alla fine si è scusata, ma il danno era fatto.

Potrei finire qui la storia, relegandola ad un evento di imbecillità umana, aggravato dal fatto di essere stato messo in atto da persone che sono deputate all’educazione dei giovani inglesi.

Ma non siamo in Corea del Nord, bensì in quella Gran Bretagna che è il Paese più compiutamente multiculturale d’Europa, dove un residente su sei è nato all’estero.

Il caso è inevitabilmente finito sui giornali, e ha persino provocato la reazione del governo laburista. 

Un portavoce del premier Keir Starmer ha tuonato: “Siamo un Paese tollerante, diversificato e aperto: siamo orgogliosi di essere britannici. Essere britannici è un valore. Siamo fieri della nostra identità. Dovrebbero esporre la bandiera sulla scuola, forte e chiara”.

Io credo che a questo punto il ragionamento vada un po’ allargato.

Innanzi tutto partendo da problematiche, su cui vi ho già intrattenuti,  dalla cultura woke ( https://www.tviweb.it/la-cultura-woke-e-pericolosa-oltre-che-demenziale/) al Politically correct  (https://www.tviweb.it/diciamo-no-alla-dilagante-idiozia-del-politically-correct/).

E allora allarghiamo lo sguardo. 

Perché questa storia non riguarda solo una bambina e un vestito. 

Riguarda un’epoca in cui la cultura dominante – nelle scuole, nei media, nelle università – è quella dell’auto-odio occidentale. 

Una generazione di educatori e intellettuali convinti che la storia inglese (ma vale anche per la nostra) sia solo una galleria degli orrori: schiavismo, colonialismo, imperialismo. Roba da mettere al rogo, con tanto di scuse ogni settimana.

E nel frattempo? Mentre si umilia la propria identità, si eleva a religione tutto ciò che è altro, diverso, straniero. Una forma di razzismo al contrario, dove l’unico a cui non è concesso avere orgoglio è l’indigeno.

Questa non è più scuola. È un centro di rieducazione a cielo aperto dove ti insegnano a vergognarti delle tue radici, della tua storia, della tua identità. Dove ti fanno credere che essere te stesso è un atto offensivo. Dove “diversità” significa tutto, tranne te.

Siamo al punto in cui bisogna travestirsi da immigrato per essere tollerati nel proprio Paese. Una farsa. Una tragedia. Un’idiozia che grida vendetta

E comprensibile quindi che i laburisti di Starmer stiano facendo di tutto per recuperare un’immagine patriottica.

Perché spero abbiano capito che a forza di tirare la corda, poi la corda si spezza.

Spero si stiano rendendo conto che è questa cultura tossica – quella del “woke”, del politicamente corretto, dell’ossessione per la colpa – che ha generato il caso Courtney. 

Ed è anche il carburante che potrebbe, alle prossime elezioni, spingere al potere un personaggio come Nigel Farage. 

Già in testa ai sondaggi, il leader della destra nazional-populista sta intercettando quel sentimento di frustrazione diffusa in una società che non sa più chi è, ed anzi si vergogna di esserlo.

E se un giorno Farage dovesse davvero entrare al numero 10 di Downing Street, magari sventolando proprio quella Union Jack che oggi viene considerata quasi un simbolo d’odio, nessuno del fronte progressista osi invocare il fato beffardo o la malasorte. Perché la colpa non sarà del destino cinico e baro. 

Sarà tutta loro.. di chi ha detto a una ragazzina di 12 anni che l’unica cultura che non ha diritto di cittadinanza… è la sua.

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