4 Novembre 2021 - 17.20

Trieste decadence: da Svevo a… Puzzer

di Alessandro Cammarano

Dalla “Coscienza di Zeno” al “Daspo di Puzzer” sembra essere passata un’era geologica durante la quale Trieste – che per inciso è una tra le città più belle e vivibili che io conosca – ha visto un progressivo decadimento di tutte quelle caratteristiche capaci di renderla unica.

Crocevia di culture, in grado di concentrare lo spirito mitteleuropeo dovuto non solo alla sua posizione geografica capace di porla al centro di scambi non solo commerciali, il capoluogo giuliano è sempre stato un baluardo di tolleranza e integrazione capace non solo di “produrre” personaggi che molto – quando non moltissimo – hanno dato in diversi campi dello scibile ma anche di attirare “forestieri” illustri che di Trieste hanno fatto la loro seconda patria.

Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, non è stato solo uno scrittore capace di scandagliare i tormenti dell’anima – partendo quasi sempre da elementi autobiografici sviluppati in narrazione – ma anche di accendere l’attenzione sulla psicoanalisi che proprio da Trieste, venendo da Vienna, si diffonde poi nel resto del Paese grazie ad Edoardo Weiss, medico e psichiatra allievo di Freud e maestro dei pionieri italiani della disciplina.

Fu proprio Weiss a curare il “circolo vizioso” della nevrosi in cui erano caduti sia Svevo – che lo celebrerà proprio nella “Coscienza di Zeno” – che quel poeta gigantesco che risponde al nome di Umberto Saba, altro figlio illustre della città alla quale ha dedicato versi tanto intimi quanto appassionati.

La letteratura si addice alla Piccola Vienna sul Mare – questo è forse il più calzante tra i vari “soprannomi” della città – tanto che l’inquieto James Joyce vi ha trascorso quello che è il periodo più importante e significativo della sua vita non solo artistica. Lo scrittore irlandese giunge in città volontariamente esule dall’Irlanda, con la compagna Nora il 20 ottobre 1904 per rimanervi, con qualche interruzione, fino al 1915 (ci ritornerà un’ultima volta nel 1919-20), dedicandosi ad insegnare l’inglese, prima alla Berlitz School, poi alla Scuola superiore di commercio, e offrendo lezioni private.

Nel frattempo, non senza difficoltà, si dedica alla sua attività di scrittore: termina “The Dubliners” – pubblicato diversi anni dopo – scrive la pièce teatrale Esuli, inizia l’”Ulisse”. Trieste eserciterà un’influenza determinante sulla sua vita di scrittore: la città e gli abitanti che la popolano si ritroveranno spesso nelle sue opere, soprattutto nell’”Ulisse”.

E Margherita Hack? e il Barone de Banfield? Scienziata la prima compositore e patrono delle arti il secondo. Due figure gigantesche capaci di lasciare il segno a livello internazionale.

E poi i caffè, dagli Specchi al Tommaseo, dove tra un “Nero” e un “Caffelatte” – per ordinare un caffè bisogna fare un corso perché non si può semplicemente ordinare un espresso o un cappuccino – dove si discute delle nuove uscite letterarie acquistate in una delle tante librerie.

Che città formidabile!

Come si è dunque arrivati, partendo da tutto ciò – e soprattutto dalla tolleranza e dalla multietnicità tipiche di una terra di frontiera – alle manifestazioni, prima al porto e poi in quel meraviglioso salotto che è Piazza Unità d’Italia, guidati da personaggi che sembrano usciti da una sit-com di serie B?

Il povero Stefano Puzzer – che tanto per incominciare dovrebbe almeno trovarsi un nome d’arte se vuol continuare a fare il personaggio pubblico – sembrerebbe in fondo un buon diavolo, vaccinato no-greenpass ma capace di esprimersi senza alzare troppo la voce. Negli ultimi giorni faceva tenerezza con il suo banchetto a Piazza del Popolo a Roma; lì seduto con una bandierina e in compagnia di pochi fedelissimi un po’ come quei soldati giapponesi che non sapendo della fine della seconda guerra mondiale stavano asserragliati su remoti atolli del Pacifico ancora negli anni Sessanta del secolo scorso.

Peccato che a monte di questo ci sia tutta una serie di dichiarazioni sue che lo piazzano a buon diritto nella “top ten” dei seguaci delle peggio teorie complottarde.

Non troppo tempo fa il Nostro si chiedeva il perché del perché di Covid non morissero politici, attori, atleti … Complotto!

Speriamo che Trieste ritorni presto a splendere, dimenticando personaggi come l’ex pugile e “politico” Fabio Tuiach che, travestito da portuale, nega l’evidenza della pandemia e ammalatosi di Covid dichiara che “la colpa è degli idranti della Polizia”; ma non doveva arruolarsi nella Legione Straniera?

In attesa che la città torni a risplendere come i suoi tramonti sul Canale Ponterosso vado a rileggermi “Trieste” di Umberto Saba.

Alessandro Cammarano

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