21 Ottobre 2025 - 12.34

Tre anni di Meloni, tra virtù e fortuna

Umberto Baldo

Tre anni a Palazzo Chigi per gli standard italiani è quasi un record. 

Solo due governi, guidati da Silvio Berlusconi, sono riusciti a durare di più. 

Ma la vera particolarità del governo Meloni non è la durata: è la tenuta del consenso, che in nessun paese al Mondo è un qualcosa di scontato. 

Infatti la coalizione di Centrodestra, che nel 2022 partiva dal 43,8%, oggi viaggia attorno al 46%, con Fratelli d’Italia saldamente posizionata intorno al 30%.

Sicuramente la “ragazza deeaaa Garbatella” ha dimostrato di possedere doti di “leader di Governo” superiori a quello che ci si attendeva, o almeno io mi attendevo da lei. 

Certo per uno come me che legge di storia, deve ammettere che, oltre alla “virtù”, un po’ di “fortuna” in senso machiavellico l’ha avuta. 

Ricorderete certo che  per Machiavelli, la “virtù” non è un concetto morale, ma la capacità di adattarsi alle circostanze, e di agire con saggezza e determinazione. La “fortuna” rappresenta invece le circostanze imprevedibili della vita. Machiavelli ci insegna a riconoscerle e a sfruttarle a nostro vantaggio. Il successo del “Principe” (nel caso nostro del leader) dipende quindi dalla capacità di bilanciare ciò che possiamo controllare (virtù) con ciò che non possiamo (fortuna).

E qual’è la “fortuna” che ha aitato la Meloni?

Partirei dal  Centrosinistra, che negli ultimi anni a trazione Schlein è stato il miglior alleato inconsapevole di Palazzo Chigi: prima la divisione alle politiche, poi la lenta trasformazione del Pd in un corpo sempre più estraneo al socialismo europeo, infine il famigerato “campo largo” che assomiglia sempre più ad un “campo dei miracoli”.

Ma a mio avviso non basta la sola “fortuna”,  intesa come incapacità dell’opposizione “dei Centri sociali” di proporsi all’elettorato come una valida alternativa di governo, a spiegare la stabilità del consenso meloniano.

Certo la premier indulge, forse anche troppo, nel vittimismo e nell’indicare complotti contro di lei e la destra.

Ma allo stesso tempo in questi tre anni ha dimostrato e dimostra di saper  sfidare anche il proprio elettorato. 

In altre parole Giorgia Meloni non è solo quella dei toni identitari e del linguaggio da comizio, quella del “Yo soy Giorgia….” sfoderato  in video con una forza politica discutibile come la spagnola Vox. 

C’è ben altro; e cioè che negli ultimi tre anni ha fatto scelte che, in teoria, avrebbero potuto farle perdere voti. E invece no, non è avvenuto.

Ha mantenuto una posizione ferma e convinta a favore dell’Ucraina, ha abbandonato la vecchia diffidenza verso l’Europa conquistando addirittura un Vicepresidente della Commissione, e in molti dossier si è comportata da leader pragmatico più che ideologico.

Dal  Medio Oriente, rifiutando di riconoscere uno Stato di Palestina ancora ben al di là da venire, al sostegno a Giorgetti nel rigore di bilancio, dal no alle pensioni facili ed al Reddito di Cittadinanza, alla quasi cancellazione del Superbonus. 

Persino sulle politiche del riarmo e sulla difesa comune europea ha mostrato un’Italia affidabile, non più “sovranista rumorosa”, alla Salvini o alla Conte per intenderci.

Sono cose che nelle Cancellerie che contano le notano, eccome se le notano. 

In poche parole Meloni, una volta al posto di comando, ha capito che per difendere gli interessi nazionali occorreva allontanarsi da nazionalismi senza futuro;  occorreva cioè differenziarsi, al tempo stesso, sia dalla Lega di Salvini (che continua a vivere di slogan), sia da un centrosinistra che sembra smarrito tra simboli e correnti.

Naturalmente nessuno lo ammette. 

A sinistra non conviene riconoscere che la premier non è più la stessa “fascista” di quando era dell’opposizione, perché significherebbe accettare che l’avversario è diventato più “presentabile”. 

E a destra, ammettere che Meloni si è smarcata da certo nazionalismo primordiale, equivarrebbe a confessare che quello stesso nazionalismo era solo propaganda.

Eppure, il dato politico resta: la leader di Fratelli d’Italia è finora riuscita a mantenere il consenso anche “disallineandosi” dai mantra dei propri elettori di riferimento.  

Non è un dettaglio. 

In un’epoca in cui tutti credono che il consenso si conquisti solo con la demagogia, Meloni ha dimostrato che raccontare agli elettori la verità (anche se non tutta intendiamoci), a volte, paga.

Per quanto riuscirà a mantenere “virtù e fortuna” è difficile dirlo, anche perché la politica cambia giorno dopo giorno.

In fondo, i governi si giudicano non solo per quanto durano, ma per ciò che lasciano. 

Se nei prossimi mesi Giorgia Meloni riuscirà a trasformare la sua “fortuna” in una nuova fase fatta di riforme vere e non solo di narrazione, allora potremo dire che la “ragazza della Garbatella” avrà davvero imparato la lezione del Principe: governare è molto più che comandare.  

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