13 Febbraio 2023 - 11.49

Sanremo visto da uno che non l’ha visto

Umberto Baldo

Francamente non ricordo più l’anno in cui ho visto per intero il Festival di Sanremo; ma sono sicuramente trascorsi svariati decenni.

E non assisto alla kermesse sanremese non per snobismo, non per un’inesistente spocchia cultural-intellettuale, ma semplicemente perché non sono particolarmente interessato al prodotto, e preferisco fare altro, magari guardare una fiction in streaming, come infatti ho fatto la settimana scorsa (nella fattisspecie le indagini di Lolita Lobosco).

Questo non esclude che domenica mattina abbia guardato in rete chi avesse vinto, e anche ascoltato la canzone regina (per inciso Mengoni ha una bella voce ed il pezzo non è male).

Eppure io il festival di Sanremo l’ho visto!

Quasi sicuramente vi starete chiedendo se questi possano essere i primi sintomi di una incombente demenza senile.

Mai dire mai, ovviamente; ma se affermo che io il festival l’ho visto è perché ho ancora l’abitudine, ormai quasi in disuso, di leggere al mattino i principali giornali italiani. 

E date le pagine su pagine dedicate dalla carta stampata (tralasciando i mass media) alla gara canora, inevitabilmente sono stato quasi costretto a seguire giorno per giorno, passo per passo, quanto avvenuto sul palco del Teatro Ariston.

E quindi sono stato mio malgrado incolpevolmente coinvolto nello scontro al fulmicotone che si aperto fra gli schieramenti politici. 

Viene da chiedersi innanzitutto: ma i nostri Demostene si rendono conto dell’abisso di ridicolo in cui sono sprofondati?

E non salvo nessuno sia chiaro.   

Né la destra che vorrebbe dare gli otto giorni ad Amadeus, ed a seguire agli attuali vertici della Rai, né la sinistra che ribatte parlando di Minculpop.

Ma sarebbe troppo semplicistico ridurre il problema ad uno scontro simile a quello dei famosi “polli di Renzo”, magari accentuato dal passaggio elettorale in Lazio e Lombardia, perché in realtà c’è di più; quello che definirei un elemento culturale che caratterizza ormai la nostra società; la pervasività della politica.

Non c’è ormai materia su cui i nostri politici si astengano dall’intervenire, e così anche il Festival della canzone italiana per antonomasia diventa un palcoscenico ideale per mettere a nudo le fratture esistenti nel dibattito politico, offrendo ai cittadini il peggio del peggio.

E gli Organizzatori del festival questo lo hanno capito bene negli ultimi anni, ne hanno fatto tesoro, e si sono impegnati per trasformare Sanremo da una gara canora ad una kermesse in cui mettere in campo argomenti extra musicali su cui discutere e dividersi.

E pazienza se queste “digressioni” poco o nulla hanno a che fare con le sette note: lo scopo è comunque l’audience, perché audience vuol dire successo e grassi introiti pubblicitari (spero non vi siano sfuggiti gli “artigiani della qualità” onnipresenti al festival!).

E così via a Benigni che parla della Costituzione (la più bella del mondo secondo la gauche) così irritando la destra di Governo che vorrebbe cambiarla, via ai monologhi di Chiara Ferragni sul femminismo, di Francesca Fagnani sulle carceri, di Paola Enogu sul razzismo, di Chiara Francini sulla maternità.

E per non farsi mancare nulla le performance di Fedez che straccia una foto datata di un sottosegretario (peraltro in divisa da nazista), o che slinguazza con un certo Rosa Chemical, che a dispetto del nome è un uomo.  

Senza ovviamente dimenticare la querelle, durata settimane, sulla partecipazione del presidente ucraino Zelensky – presenza fisica, videomessaggio, lettera – che accostata alla drammaticità della guerra dovrebbe farci vergognare, e che si è conclusa con Amadeus che ha letto una lettera dal Presidente ucraino dopo l’una di notte.

Senza tirarla troppo per le lunghe direi che ormai il processo si è compiuto, con  la trasformazione di quella che per anni è stata una straordinaria manifestazione canora, popolare nel senso migliore del termine, in una kermesse senza né capo né coda sempre più specchio del declino italico, e non solo musicalmente parlando.

Chi come me ha visto ormai molte primavere non può non ricordare com’erano i Sanremo di molti anni fa.

Paludati? Si”! 

Poco fantasiosi?  Ancora sì!

Eppure anche allora c’era lotta politica in Italia, e la contrapposizione fra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista in quegli anni era assai aspra!

Ma ciò nonostante nessuno di quei leader avrebbe neppure pensato di mescolare canzoni e politica, perché avevano della politica un concetto “alto”. 

Sanremo allora era solamente una gara fra canzoni e cantanti, mentre quello cui abbiamo assistito nei giorni scorsi non è neanche più populismo recitato a fini elettorali; è drammatico decadimento culturale, oltre ogni livello minimo di decenza.

Fortunatamente tutto passa, e fra qualche giorno si comincerà, forse, a parlare di come sarà il festival del 2024 e di chi sarà chiamato a guidarlo, anche se gli strascichi continueranno a livello di nuovi organigrammi della Rai..

Che vista l’ossessione della politica per la Tv di Stato sarebbe finalmente arrivato il momento che si procedesse alla sua privatizzazione. 

Anche per rimarcare, come succede nelle democrazie mature, che ci dovrebbe essere una netta linea di confine a separare la politica dallo spettacolo: una linea di confine che in questa Italietta viene attraversata in continuazione ed è ormai cancellata. 

Io mi auguro che  in qualche modo venga ridisegnata per restituire alla politica la sua dignità, e allo spettacolo la sua libertà.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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