15 Marzo 2024 - 9.33

Il Fisco di Biden e Trump, e l’ “incularella” italica

Umberto Baldo

In questa fase in cui il nostro Governo starebbe attuando una “storica riforma del fisco”, attesa da 50 anni come sottolineato dalla premier Giorgia Meloni, dopo aver dato un’occhiata alle “novità” dei decreti attuativi, per non farmi venire il consueto travaso di bile, sono andato a vedere come si stanno posizionando sul tema i due “grandi vecchi” (nel senso più pieno del termine) della politica a stelle strisce, Joe Biden e Donald Trump.

Essendo già gli Usa in piena campagna elettorale, nei giorni scorsi il Presidente in carica e lo sfidante hanno presentato agli elettori le loro “intenzioni” in materia di fisco.

Immagino vi rendiate conto che il “patto fiscale” è forse l’aspetto  più importante del “patto sociale” fra il cittadino e lo Stato, in quanto sono le tasse pagate che consentono allo Stato di esistere e di funzionare.

E poiché la nostra premier ha voluto ribadire che lei “ non dirà mai che le tasse sono bellissime” (il riferimento a Padova Schioppa, che così le definì nel 2007, è palese), non credo di svelarvi un mistero se vi dico cha anche negli Usa la tendenza ad evadere gli obblighi fiscali esiste (come ovunque nel mondo); solo che da quelle parti sono attivi centri speciali di detenzione, riservati proprio a che froda il fisco, ed il tasso d’incarcerazione, una volta formulata la richiesta di rinvio giudizio da parte degli ispettori del fisco, è pari a circa l’80%.

Fissata questa notevole differenza fra il sistema americano ed il nostro, dove per andare in galera per motivi fiscali bisogna forse aver ucciso il Ministro delle Finanze, vediamo a volo d’uccello in cosa si differenziano le proposte di Biden e di Trump in tema di tasse. 

La politica fiscale che  Joe Biden avrebbe in animo di realizzare si basa su un aumento di tassazione sui super-ricchi e sulle aziende, come aveva cercato di fare all’inizio delle Presidenza, ma solo in parte realizzato.

Quindi via con l’aumento dell’aliquota di tassazione dei capital gain, chesarebbe eguagliata a quella massima sui redditi: per fare qualche numero passerebbe dall’attuale 20 per cento al 39,6 per cento, ma solo per chi guadagna almeno un milione di dollari.

Inoltre, l’aliquota contributiva per il Medicare, il programma di assicurazione sanitaria per gli over 65, (sapete che negli Usa se ti capita di ammalarti seriamente, o hai l’assicurazione, o puoi passare direttamente all’estrema unzione) per chi guadagna oltre 400mila dollari l’anno, passerebbe dall’attuale 3,8% al 5%, 

Il risultato finale sarebbe che i contribuenti oltre il milione di dollari pagherebbero il 44,6% sui redditi complessivi, inclusi quelli da investimento.

Per il “vecchio Joe” i contribuenti con patrimoni superiori ai 100milioni di dollari dovrebbero pagare unaminimum tax del 25% sui relativi redditi, contro il circa 8% che riescono a pagare oggi, grazie a una serie di “agevolazioni” fiscali.

Relativamente alle imprese, Biden vorrebbe portare la tassazione dal 21 al 28 per cento, e  dal 10,5 al 21% ciò che le imprese pagano per i redditi prodotti all’estero.

Biden vorrebbe inoltre portare la minimum tax domestica per le aziende dal 15 al 21 per cento. 

C’è poi la tassazione del famigerato carried interest, che oggi consente ai gestori di fondi di private equity di pagare una cedolare secca del 20 per cento su una parte dei propri redditi, che altrimenti sarebbero tassati al 37%.

A parte qualche altro “ammennicolo” questo il cuore delle proposte democratiche.

Come rispondono Donald Trump ed i Repubblicani? 

In estrema sintesi puntando al pareggio di bilancio entro dieci anni, da conseguire con tagli a “sprechi e burocrazia” (ça va sans dire), tagliando Medicare e Medicaid, ridimensionandone la portata, ma soprattutto smantellando l’Inflation Reduction Act di Biden, cioè la misura distintiva dell’amministrazione democratica (ricordo che mirava da una parte ad aumentare gli introiti statali di circa 737 miliardi di dollariattraverso, tra le altre cose, l’introduzione di una tassa minima del 15% alle più grandi corporations. Dall’altra parte prevedeva un piano di investimenti da 437 miliardi, per lo più concentrati sulla lotta al cambiamento climatico e sul settore energetico).

Non manca poi, per quadrare il cerchio, il contributo alla riduzione del deficit dato da “maggiore crescita”, che dovrebbe passare dal 2 per cento annuo oggi previsto dal Congressional Budget Office, al 3 per cento. 

Come si vede le “menzogne” da campagna elettorale sono comuni a tutte le latitudini, ed il mantra indimostrabile secondo cui il solo taglio di alcune spese stimolerebbe la crescita del Paese, è vagheggiato dai politici di tutto il mondo.

Vedremo a chi crederanno gli americani il 5 novembre.

Che dire?

Beh inizierei dal fatto che, al di là del sentire comune, fra i gauchisti nostrani ed i democratici americani ci sono più differenze che punti di contatto.

Per spiegarmi meglio, in tema di economia e tasse fra le idee di Joe Biden e di Nicola Fratoianni, ma ci metterei anche della Segretaria del Pd Elly Schlein, corre un abisso.

Certo il solo pensare con favore ad un programma di assistenza sanitaria pubblica come il Medicare, sicuramente diverso ed inferiore al nostro Servizio Sanitario Nazionale, agli occhi di Trump e dei repubblicani più convinti trasforma Biden in un “bolscevico”. 

Ma se guardate bene le proposte di Biden, vi renderete conto che da quelle parti i ricchi cui si propone di applicare aliquote maggiori (sempre comunque notevolmente inferiori a quelle italiche) sono cittadini che guadagnano oltre 400 mila, od oltre un milione di dollari l’anno, mentre “neaaaa Nazzziiiioooone” i nababbi da torchiare sono coloro che incassano 35mila euro l’anno, e che pagano due terzi di tutte le tasse incassate dallo Stato.

Lo so bene che state pensando: lo vedi che alla fine torni sempre all’Italia?

Ma certo che torno all’Italia, perché negli Usa almeno si capisce che i Repubblicani strizzano l’occhio alla parte più ricca della società, mentre i democratici sono più sensibili ai bisogni della parte meno abbiente.

Ma almeno c’è un po’ di chiarezza.

Qui da noi nessuno vuole neppure cercare di dare una risposta a questa semplice domanda che non è né di destra né di sinistra:  come può stare in piedi uno Stato in cui metà dei cittadini non paga tasse, in cui il 40% dei contribuenti dichiara meno di 15mila euro l’anno, in cui solo l’1,2% dei cittadini dichiara più di 100mila euro l’anno, in cui il 14% dei contribuenti paga quasi due terzi del complesso delle tasse?

Ma cosa volete, “aaaa Nazziiioooone” è il Paese delle lobby, delle categorie intoccabili (balneari, tassisti), del trattamento diverso riservato dallo Stato al lavoro autonomo rispetto a quello dipendente, delle “trattenute alla fonte” a fronte dei condoni; il Paese in cui qualunque Governo, di qualsiasi colore, al di là di certe idiozie tipo le patrimoniali care alla Cgil ed alla sinistra da Centri sociali,  quando di parla di tagliare le spese, di combattere seriamente l’evasione fiscale, di rimodulare il carico delle tasse,  cambia discorso dicendo che ci sono cose più urgenti.

Adesso ci stanno raccontando la “favola” del “fisco amico”, e ne hanno facoltà visto che con la repressione (ma quale?) sempre un centinaio di miliardi vengono sottratti ogni anno al Fisco.

Si tratta solo di aspettare, e non sarà per molto se ci diranno la verità, se questo atteggiamento “amichevole” darà i suoi frutti.

Io resto piuttosto scettico, perché nessuno mi toglie dalla testa che, poiché neanche gli evasori considerano le tasse “una cosa bellissima”, loro continueranno a fare con lo Stato (e di fatto con i contribuenti onesti) quel giochino che a Roma chiamano “incularella”.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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