Rondini, Ohio e illusioni: la politica al test delle regionali”

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Ma sì, lo sapevate già: oggi si parla delle elezioni regionali.
In Italia non c’è altro argomento che riesca a monopolizzare così tanto i discorsi politici, perché il vero motore non è mai la buona amministrazione, ma il consenso, meglio se misurato con il pallottoliere dei voti.
E ditemi: vi pare normale che le sette Regioni al voto quest’autunno abbiano deciso di trascinare tutto da settembre a novembre, invece di chiudere tutte assieme la partita in un giorno?
Un calendario a spezzatino non cambia i risultati, ma tiene i leader del Paese sospesi in un clima di tensione, proprio quando sarebbe opportuno si concentrassero sulla legge di bilancio e su una situazione internazionale burrascosa, piuttosto che all’ennesimo comizio in piazza.
Ora, quante elezioni abbiamo commentato negli ultimi anni? Tante.
Ed ogni volta lo scenario è identico: Segretari che urlano alla vittoria epocale, minimizzano la disfatta, e recitano il mantra dell’“andrà meglio la prossima volta”.
Io vi ripeto sempre lo stesso consiglio: diffidate di titoli di giornali e social, e ancor più delle dichiarazioni dei leader di partito.
Perché ogni volta, come da copione, nelle parole di Lor Signori le vittorie vengono amplificate e le sconfitte derubricate a dettagli trascurabili.
E allora come si fa a capire davvero com’è andata?
Semplice: si leggono i numeri, freddi, nudi e crudi, quelli che trovate ad esempio sul sito “eligendo.interno.gov.it”, mica nelle chiacchiere dei talk show.
Solo dopo, se proprio vi avanza tempo, potete passare alle interpretazioni dei commentatori e alle retoriche varie.
Un tempo nei Partiti c’era chi sapeva davvero fare l’analisi dei flussi elettorali, gente che leggeva ed interpretava le cifre con competenza, fornendo al gruppo dirigente una fotografia limpida dei risultati, al netto della propaganda, utile a capire e, se del caso, a correggere la rotta.
Oggi? Con questo livello medio della classe politica, non so quanti siano ancora capaci di leggere un risultato senza paraocchi, e quindi ci si accontenta di qualche spin doctor improvvisato che confonde la matematica con i meme di Instagram.
Veniamo allora ai numeri.
Partiamo dalla Valle d’Aosta, regione piccola con i suoi poco più di 100 mila abitanti, ma non marginale: Alleanza Verdi-Sinistra 6,32% – Union Valdôtaine 31,97% – Pd 8,04% – Autonomisti di Centro 14,05% – Fratelli d’Italia 10,99% – Forza Italia 10,05% – Lega 8,38%.
Qui il Presidente non si elegge direttamente: sarà il Consiglio Regionale a designarlo, aprendo il solito balletto di trattative serrate fra i Partiti.
L’ultima legislatura ha visto una maggioranza autonomista-progressista guidata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine) con l’appoggio del Pd.
Il centrodestra, che sognava il colpaccio, si è fermato sotto il 30%, e con ogni probabilità resterà all’opposizione per altri cinque anni.
Passiamo ora alle Marche.
Anche qui i dati parlano chiaro: FdI 27,47% – Forza Italia 8,57% – Lega 7,40% – Pd 22,52% – Movimento 5 Stelle 5,07% – Alleanza Verdi-Sinistra 4,14%. A livello di coalizione: Centrodestra 52,50% – Centrosinistra 44,39%.
Vi ricordate quando qualcuno definì le Marche “l’Ohio d’Italia”?
Bene, l’Ohio ha parlato.
E ha detto che i marchigiani si interessano più delle questioni quotidiane, come strade sanità e lavoro, che non delle bandiere ideologiche, della Flotilla, o del riconoscimento della Palestina.
Detta diversamente, il quotidiano batte sempre la geopolitica da salotto.
Qui la partita era soprattutto simbolica: con Veneto e Calabria che sembrano già orientate verso la riconferma del centrodestra, e con Campania, Puglia e Toscana contese soprattutto dentro al centrosinistra, le Marche erano viste come il terreno su cui la Schlein avrebbe potuto strappare una Regione agli avversari, e trasformare un successo locale in un segnale nazionale.
Li abbiamo visto altre volte i politici scambiare e spacciare una rondine per la primavera, ma una rondine resta sempre e solo una rondine: e ieri ne abbiamo avuto l’ennesima conferma.
Dalla giornata mi sembra emergano due spunti.
Primo: il “campo largo” fatica a fare gol quando si tratta di numeri reali.
Nelle ultime tredici elezioni regionali in cui Pd e M5S si sono presentati insieme, tre vittorie e dieci sconfitte.
Domanda cattiva: visti i risultati “imbarazzanti” del M5S alle amministrative, non sarà che Conte e soci vengano sopravvalutati nella costruzione delle liste rispetto al consenso reale?
Il Pd ci faccia un pensierino.
Secondo: il centrodestra, logorato da tre anni di governo, da promesse inevase o mantenute a metà, e da litigi interni, dovrebbe mostrare qualche naturale segnale di affaticamento.
E invece resiste.
Perché? Forse perché vale ancora l’assioma andreottiano: “il potere logora chi non ce l’ha”.
Ma a mio avviso la maggioranza mostra una resilienza quasi sorprendente perché aiutata dall’assenza di un’opposizione capace di proporsi come alternativa concreta di governo.
Il Centro-sinistra (ammesso che si possa ancora chiamarlo così) potrà consolarsi con nuove alchimie di “campo largo”, ma finché non proporrà un progetto credibile e spendibile anche oltre i Circoli ed i Centri sociali, la mia impressione è che difficilmente potrà scalfire il blocco avversario.
Le Marche sono un test “parziale”, certo.
Ma ha voglia Elly Schlein a sottolineare (con il senno di poi) che non si tratta di un risultato con “valenza nazionale”.
Perché di test parziali ne abbiamo già collezionati parecchi.
E fra meno di due anni, si vota davvero.













