28 Maggio 2015 - 8.09

Renzi, il rischio della deriva anti-democratica!

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di Marco Osti

È grave l’affermazione con cui il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso il desiderio che in Italia vi sia un sindacato unico ed è sconcertante come sia stata solo vagamente commentata, senza essere censurata con forza dalle forze politiche e dall’opinione pubblica.
Solo le Organizzazioni Sindacali si sono opposte a questa dichiarazione e sono state isolate nella loro contrarietà, lasciando che le loro proteste potessero essere facilmente relegate e mera difesa di posizione.
Certamente i cambiamenti che caratterizzano il mondo del lavoro richiedono soluzioni che consentano al sindacato di essere più efficace nella tutela dei lavoratori, attraverso, ad esempio, modifiche nel sistema di rappresentanza, per evitarne la parcellizzazione, e soluzioni che favoriscano la massima partecipazione degli iscritti ai processi di elezione dei propri rappresentanti.
Su tutto ciò andrebbe aperta una seria discussione, con valutazioni approfondite e la definizione di opportuni distinguo.
Il presidente del Consiglio invece, come sua abitudine, risolve tutto con una battuta, che dimostra la mancanza di volontà di affrontare seriamente la questione, ma solo, nella migliore delle ipotesi, di utilizzarla a fini propagandistici, per raccogliere il consenso di chi vede nel sindacato, come in tutti i corpi intermenti della società, partiti compresi, tra i principali mali del Paese.
In realtà c’è di più dietro la dichiarazione di Renzi, perché l’esistenza del sindacato è uno dei segni di riconoscimento di una società democratica e la possibilità di manifestare diversità di opinioni e di riferimenti culturali e ideologici è alla base di sistemi caratterizzati da più sindacati, come è sinonimo di democrazia un impianto normativo e sociale che non prefigura il partito unico.
Sconcerta quindi che il presidente del Consiglio, cioè la persona con maggiore potere esecutivo del Paese, non solo paventi la possibilità di costruire un meccanismo che porti ad avere un sindacato unico, ma anzi dichiari questa soluzione come una sua volontà.
È un’idea di democrazia violata dei suoi fondamenti, quella che fa dire una cosa del genere, e chi la afferma crede evidentemente in un regime in cui la limitazione del pluralismo sia da auspicare e da sacrificare sull’altare di una presunta maggiore efficacia di azione e di un decisionismo, che diventa icona di se stesso, fine di una struttura di governo e non mezzo per avere uno stato efficiente.
Renzi con una sola frase, detta in uno studio televisivo, dimostra di essere disposto a sacrificare elementi fondanti di una democrazia matura e di una società civile, quali il pluralismo di pensiero e di espressione, con alla base la difesa di logiche di partecipazione e di manifestazione delle idee anche da parte delle minoranze.
Sul tema Massimo Cacciari, peraltro molto critico per molti atteggiamenti del presidente del Consiglio, ha espresso un commento ironico verso chi vuole attribuire a Renzi una volontà autoritaria, ricordando che l’idea di sindacato unico negli anni Settanta era coltivata e si provò a realizzarla proprio da parte dei maggiori sindacati.
Sfugge però all’ex sindaco di Venezia la sostanziale evidenza che non a caso poi il progetto di sindacato unico non fu realizzato e si è sempre ragionato di azione sindacale unitaria, che si caratterizza come un processo profondamente diverso.
Soprattutto stupisce che Cacciari non colga la chiara differenza che esiste tra un progetto elaborato dai movimenti sindacali, con libera scelta, finalizzata a meglio rappresentare e tutelare i lavoratori, e l’obbligo invece imposto da un’azione del potere esecutivo, che peraltro è controparte del sindacato rispetto a milioni di lavoratori pubblici di cui è datore di lavoro.
Evidentemente Cacciari e la maggior parte degli opinionisti non vede Renzi come un politico che auspica a costruire un sistema autoritario, sebbene le scelte che compie possano essere propedeutiche a tale soluzione.
In effetti è possibile che l’attuale presidente del Consiglio non abbia mire autoritarie, ma sicuramente con le riforme che sta realizzando e con la cultura che sta diffondendo, sta sviluppando un processo che comporta una riduzione degli spazi democratici nel Paese, con il risultato di porre condizioni che potrebbero in futuro essere sfruttate da chi invece è portatore di mire totalitarie, le coltiva e non ne fa mistero.
La riforma elettorale unitamente a quelle costituzionali di fatto prefigurano un sistema di stampo presidenzialistico, senza però costruire i meccanismi di controllo del potere che esistono nelle repubbliche presidenziali, come la Francia e gli Stati Uniti, con il risultato che l’Italia potrà essere governata, senza una minoranza in grado di opporsi, da chi avrà vinto le elezioni solo raggiungendo il 30% dei consensi.
Non certo un esempio di governo della maggioranza, soprattutto in uno scenario come l’attuale, che vede l’astensione intorno al 40%.
Non è chiaro in tale ambito se l’azione di Renzi sia quella del giovane entusiasta, imbevuto di cultura edonistica anni Ottanta, che in modo irresponsabile non coglie in pieno i rischi delle implicazioni che possono derivare dalle sue scelte o se tutto ciò avvenga in modo consapevole o se sia davvero tutto espressione del suo pensiero, senza che vi siano suggeritori interessati alle sue spalle.
In ogni caso tutto ciò dovrebbe almeno preoccupare chi crede nella democrazia.
In molti però sostengono che in Italia non vi sia il rischio di una deriva autoritaria, perché non sarebbe possibile in uno scenario globale e integrato come quello in cui si trova il nostro Paese.
Non ci sarebbero quindi le condizioni che portarono ai totalitarismi del Novecento.
Questa considerazione ha un fondamento, ma è altrettanto vero che in Italia e in Germania Mussolini e Hitler instaurarono regimi totalitari dopo essere stati eletti dal popolo, che li scelse proprio come reazione a un sistema partitico e sociale corrotto e inefficiente.
Anche in quel caso si richiamavano logiche di efficienza e decisionismo, ma quando ci si accorse in cosa stavano trasformandosi, e anche filosofi come Cacciari non colsero segnali premonitori, fu troppo tardi.
Mantenere alta l’allerta serve a non ripetere errori passati.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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