28 Marzo 2022 - 12.04

Quando il nome di un negozio è improponibile: la bella semplicità di una volta

di Alessandro Cammarano

Non è per fare quello che “ah quanto si stava meglio prima!”, anche perché in alcuni casi il “prima” è un passato fatto di una vita media che si aggirava intorno ai quarant’anni, senza farmaci efficaci e con le candele ad illuminare fiocamente ambienti domestici gelidi.

C’è da dire che però tra le cose che di un passato neppure troppo remoto un pochino mancano ci sono i nomi dei negozi che, fino a non molto tempo fa si chiamavano come la merce venduta.

Articoliamo: un signore che, talvolta insieme a qualche collaboratore, si alzava molto presto la mattina per impastare michette e ciabatte, filoncini e pagnotte si chiamava fornaio o panettiere – in aulico parlare anche “prestinaio” – e la sua fragrante bottega portava semplicemente il nome di panetteria o forno.

Da qualche decennio – forse anche per il moltiplicarsi di farine e impasti, tutti volti a riscoprire un “tempo che fu” più di una volta riproposto al presente in forma un tantino fantasiosa – il prestinaio decide di battezzare la sua bottega con nomi aulici tipo “Sforn-aria” o direttamente agghiaccianti sul tipo di “Mollicai”, che si potrebbe trovare scritto anche nella versione finto-antica “Mollicaj” e che pare la prima persona singolare del passato remoto del verbo “mollicare”.

Tragico anche “Fratelli Fragranza” che evoca immediatamente l’idea di un’associazione dedita al crimine organizzato mentre invece “Zio Pagnotta” un sorriso lo strappa, soprattutto pronunciato da uno cugino bestemmiatore. Ah, per i cinefili c’è pure “Bread Pitt”.

Non ne escono bene neppure i bar, anche perché e a guardare bene in giro per l’Italia di copywriter schizzati e insofferenti di denominazioni storiche come “Caffè Commercio” o “Bar Centrale” se ne trovano a pacchi; ecco dunque – sulla falsariga del Bar Lume nato dalla fantasia letteraria di Malvaldi – una serie di giochi di parole che portano a roba tipo “Bar Baresco”, “Bar Bablù”, “Bar Colla” e con un colpo di genio assoluto il “Bar Condition”.

Una citazione doverosa va alle erboristerie e ai negozi di prodotti naturali, spesso aperti da mariti o compagni ricchi come passatempo per mogli o conviventi annoiate e in cerca di “qualcosa per realizzarmi”. Ecco dunque “Alche Mia”, un po’ sulla vena dei bar di cui sopra, e lo sgrammaticato “Amor Naturi”, che qualunque professoressa di latino sanzionerebbe con un frego di matita blu e un 1 secco.

Non si salvano le macellerie che da “Furio: Carni scelte bovine e equine” sono degenerate in eccessi del tipo “Manzo Criminale” – con buona pace di Massimo De Cataldo – e “Tagli divini”, quest’ultimo buono anche per un salone di acconciatore al posto degli abusatissimi “Ricci e capricci” e “Dacci un taglio”.

Assai popolare, tanto da pensare che si tratti di un franchising, è la tolettatura per cani e gatti “Per un pelo” presente più o meno in ogni città italiana.

E che dire del momento in cui, una decina di anni fa iniziarono a proliferare H e K sparse per ogni dove? Tutto un fiorire di “Marakelle”, buono per una boutique ma anche per un sexy shop, o di “Metodoh” che è un po’ come il grigio e si può usare per attività che vanno dallo studio legale all’idraulico.

La “fantasia” segue la moda, anche e soprattutto quella alimentare: adesso è il momento del pokè-bowl – adorabile piatto unico di derivazione hawaiana e componibile a piacere miscelando proteine, verdure e carboidrati – e dunque all’interno dei centri commerciali, ma non solo, è tutto un fiorire di “Pokè Scuse” e di “Pokeria” … e quest’ultima spalanca la visione sull’abisso del suffisso; la rima è voluta.

Se alla merceria e alla lavanderia siamo abituati da sempre, le mani iniziano a prudere e le dita si stringono a pugno quando si viene invitato a cena alla appena aperta “polpetteria” o peggio alla “cotoletteria” o il mai abbastanza celebrarlo “bàcaro” veneziano che diventa un brutto e turistico “cicchetteria”.

Orrende anche le crasi pretenziose e cacofoniche sulla vena di “GastroBistrot”, che oltre ad essere difficile da pronunciare suona davvero male e rimanda la mente ad una probabile intossicazione da cibo avariato.

Chiudiamo in gloria con la più odiosa delle diciture che, siccome siamo provinciali nell’anima e di conseguenza esterofili della domenica, deriva dalla tradizione anglosassone: il “since” a sostituire l’autoctono “dal” per significare la data di inizio attività di un esercizio commerciale e di conseguenza la sua permanenza nel tessuto cittadino o nazionale che sia, il tutto a evideziarne il prestigio e la longevità

Peccato che il “since” assuma il più delle volte una connotazione involontariamente comica, perché un conto è un “Caffè Florian dal 1720”, ma tutt’altra cosa è “Profumi&Balocchi di Boaron Samantha since 2012”.

Chiudo qui e vado a prenotare un tavolo per una grigliata dalla Trattoria “Cesira” prima che cambi la ragione sociale diventando “Il Marchese del Grill”.

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