Promesse scritte sulla sabbia: la manovra finanziaria che il vento si porterà via

Umberto Baldo
“Ho scritto t’amo sulla sabbia… e il vento a poco a poco se l’è portato via son sé”.
Franco IV e Franco I nel 1968 cantavano di amori estivi passeggeri.
Oggi quella frase è il miglior riassunto delle promesse della nostra classe politica: parole buttate sulla spiaggia, che durano il tempo di un comizio e poi spariscono.
Solo che nel frattempo ce le scaricano addosso, anzi ce le vomitano addosso, come se fosse sufficiente parlare di soldi per riempire le tasche degli italiani.
Fine agosto, inizio settembre: la politica si sveglia dal letargo estivo e comincia la danza della Legge di Bilancio.
Una danza macabra fatta di mancette, bonus, sconticini e slogan da bar dello sport.
Si continua a raccontare che “tout va très bien madame la Marquise”, che stiamo “facendo il c… alla Francia e all’Inghilterra”, che la crescita corre.
Peccato che i dati dicano altro: consumi giù, Pil fermo, spiagge semivuote.
Se a questo si aggiunge che nel secondo trimestre del 2025 l’economia italiana ha rallentato leggermente, 0,1% rispetto al trimestre precedente, e che i consumi degli italiani sono in flessione, un politico avveduto capisce che se vuole rimanere in sella deve seriamente lanciare messaggi ben precisi agli elettori, il che banalmente vuol dire mettergli in tasca un po’ più di soldi.
A questo punto, chiedere agli italiani “state meglio di un anno fa?” rischia di diventare un autogol mortale, specie con sette elezioni regionali all’orizzonte.
Relativamente alla prossima finanziaria credo che a Palazzo Chigi sappiano bene che non potrà limitarsi a limature contabili o alle solite mance elettorali per categorie amiche.
Ecco perché il cuore della manovra, per la prima volta dopo anni di promesse andate a vuoto, sembra essere la riduzione dal 35 al 33% per i redditi fino a 60mila euro.
Peccato che i soldi non crescano sugli alberi.
Solo questo sconto vale 4 miliardi. E allora? Da dove pescarli?
Nel frattempo tutti i Partiti della coalizione, che a parole si amano alla follia, ma in vista delle urne ciascuno di loro vuole uscire con proprie proposte riconoscibili, sgomitano per marcare il territorio.
Forza Italia propone sgravi sui salari bassi; la Lega sogna l’ennesima rottamazione delle cartelle e l’estensione della flat tax agli autonomi fino a 100mila euro (d’altronde, la vocazione elettorale di Partito “amico dei contribuenti creativi” è dura a morire); altri che rilanciano ballon d’essai su flat tax per straordinari e notturni, o su incentivi fiscali per il rinnovo dei contratti collettivi.
E qui una domanda sorge spontanea: perché mai la fiscalità generale, cioè chi paga davvero le tasse senza poter scappare, dovrebbe farsi carico del rinnovo dei contratti collettivi?
La risposta è semplice: non c’è una ragione valida, se non quella di spostare un po’ di soldi da una tasca all’altra, sempre a danno dei soliti noti, quei kulaki da 35mila euro lordi l’anno che, nella retorica politica, sembrano vivere da nababbi.
Ma non basta. Nel “libro dei sogni” del governo c’è tutto: taglio bollette, politiche per la natalità, casa, giovani coppie, famiglie, scuola, detrazione libri scolastici, sanità, imprese, famiglie; insomma tutto il campionario del politichese.
Una lista infinita di promesse che inevitabilmente si scontra con la realtà delle risorse, sempre scarse.
E allora ecco rispuntare l’idea di spremere ancora una volta le Banche, questa volta non puntando agli extraprofitti difficili da quantificare, bensì tassando i buyback.
Negli Usa la fanno dal 2023; da noi se ne discuterà fino allo sfinimento, con Forza Italia che ovviamente difenderà gli Istituti di credito come se fossero una specie in via d’estinzione.
Insomma, ci aspettano mesi di annunci, smentite e contraddizioni.
La verità è che questo Governo non ha nessuna voglia di sfruttare la delega per affrontare seriamente il tema della riforma fiscale, perché significherebbe affrontare categorie finora protette dicendo “ragazzi è tempo di cominciare a pagare!”, e si sa che elettoralmente un discorso del genere non paga.
Altro che equità, altro che riordino. E quindi si va avanti a colpi di bonus, sconti, incentivi, flat tax creative, e mancette elettorali.
Così si accontenta qualcuno, ma si massacra la logica complessiva del sistema tributario.
In estrema sintesi, una politica che soddisfa singoli gruppi sociali, ma che smonta pezzo dopo pezzo la filosofia complessiva dell’ Irpef, aggravando il peso fiscale proprio su chi non ha scappatoie.
Quindi, quando nei noiosissimi “pastoni” serali dei telegiornali vi diranno che l’urgenza è “ridurre le tasse al ceto medio”, non vi resta che fare una bella risata liberatoria.
E, per carità, non ordinate l’auto nuova contando sulla miracolosa riduzione dell’aliquota del 35%, perché rischia di essere l’ennesima promessa scritta sulla sabbia, che il vento, come sempre, porterà via.













