5 Aprile 2016 - 15.28

POLITICA- Dimissioni Guidi: perché ora Renzi rischia di cadere

renzi

di Marco Osti

Una delle accuse che spesso viene portata al presidente del Consiglio Matteo Renzi è quella di comportarsi come un bulletto di quartiere, che, con arroganza da impunito e impunibile, persegue con determinazione ogni suo obiettivo, senza ascoltare nessuno e attaccando con veemenza chi osa contestarne l’operato.
La vicenda relativa alle dimissioni della ministra Federica Guidi dal dicastero dello Sviluppo Economico sta evidenziando atteggiamenti da parte del premier che tendono a dare ragione a questa visione, in cui non si assume alcuna responsabilità per averla scelta
Come ormai noto la ministra è stata colta, in una telefonata intercettata, informare il proprio fidanzato, imprenditore nel campo petrolifero (indagato dalla magistratura, con richiesta del Pubblico Ministero, respinta dal Gip, di incarcerazione preventiva), che sarebbe stato approvato un emendamento utile ai suoi interessi e a quelli dei suoi amici imprenditori nel settore.
Nel corso della chiamata però la Guidi dice che anche la ministra per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi è d’accordo sull’emendamento, che conferma l’attività del sito petrolifero Tempa Rossa.
Quell’allusione della ministra dimissionaria secondo i magistrati necessitava però un chiarimento, quindi sono andati a Palazzo Chigi a interrogare la Boschi.
Questa iniziativa il premier proprio non l’ha digerita, così, nella riunione della Direzione del Partito Democratico ha attaccato a testa bassa la Procura inquirente su questa faccenda, dicendo che svolge indagini senza mai arrivare a una sentenza.
Una replica che appare sproporzionata rispetto a un atto normale, se non logico, vista l’affermazione della sua ex collega di Governo.
Date le circostanze una iniziativa dei Pm dovuta, per chiarire in quale modo la ministra Boschi sia stata coinvolta in una materia dove il conflitto di interesse manifestato dalla Guidi obbliga a capire meglio la vicenda e se il suo via libera all’emendamento sia stato un mero fatto tecnico o se il “suo essere d’accordo” avesse anche ulteriori implicazioni.
Una replica veemente, quella di Renzi, tipica di quei bulli cui spesso lo si accosta, nonostante i suoi fedelissimi si siano affrettati a spiegare che non c’è alcuna intenzione di screditare i magistrati, ma di sollecitarli a svolgere meglio il loro lavoro.
Una replica che inoltre accomuna Renzi a molti suoi predecessori, in particolare Berlusconi, nell’attacco alla magistratura quando osa interferire con l’azione del Governo, senza peraltro assumersi la minima responsabilità per avere scelto la Guidi nella sua squadra di Governo.
Nella replica però si legge anche la tensione del premier per una questione che evidentemente impatta con aspetti delicati del suo programma di Governo, nel quale, a partire dal Decreto Sblocca Italia, è apparsa chiara la sua volontà di procedere con determinazione verso soluzioni che liberino i processi produttivi da eccessivi vincoli.
Una impostazione con cui ha raccolto consensi nel Paese, per la sua impronta decisionista e operativa, che, come da queste colonne abbiamo già rilevato, può comportare anche ricadute negative in termini di autoritarismo spacciato come risolutezza o come via libera a non considerare le implicazioni negative su cittadini e lavoratori di una progressiva deregolamentazione.
Infatti una cosa è togliere lacci burocratici e soprattutto combattere le sacche dove si annida la corruzione, altra è accelerare lavori pubblici o favorire iniziative imprenditoriali, anche in presenza di limiti imposti per legge a tutela dei cittadini o della salute pubblica.
Non basta sostenere, come ha fatto anche il presidente del Partito Democratico Matteo Orfini, che l’operazione di sblocco di concessioni rientra in un progetto di Governo chiaro e pubblicamente dichiarato, per sostenere che allora sia giusto perseguirlo comunque, considerando peraltro che l’emendamento in questione era già stato bocciato in precedenza.
È molto sottile, e qui c’è il nocciolo della questione, il confine tra un’azione di Governo decisionista per il bene del Paese o invece alibi per consentire operazioni come quella inerente il sito di Tempa Rossa, indicate come vitali per il Paese, quando non è così, per il limitato fabbisogno energetico che consente di soddisfare.
Su quel crinale invisibile si gioca infatti la credibilità di un premier e un Esecutivo che dichiarano di voler rilanciare la politica industriale del Paese, ma in tale ambito adottano provvedimenti che favoriscono quelle lobbies imprenditoriali che sempre più spesso appaiono sullo sfondo dell’azione di Governo, di cui la stessa decisione di portare allo Sviluppo Economico una esponente di Confindustria come la Guidi è testimonianza.
La reazione scomposta del premier potrebbe quindi significare che le dimissioni della ex ministra Guidi e le polemiche conseguenti abbiano svelato un nervo delicato, che potrebbe determinare conseguenze molto più profonde sul futuro del Governo di quanto la singola vicenda possa in sé rappresentare.

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