4 Agosto 2022 - 8.41

PILLOLA DI ECONOMIA – Quando Draghi era il “nostro Bolsonaro”

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Ho già scritto altre volte che uno dei problemi degli italiani è quello di avere la “memoria corta”.

Così ogni tanto ritengo opportuno rinfrescare certi ricordi, anche se ormai ho perso la speranza che serva a qualcosa.

Tanto per fare un esempio, avete presente lo sciopero generale proclamato l’anno scorso dei Sindacati per chiedere che non fosse tolto il blocco dei licenziamenti?

Ma sì, ricorderete che durante la pandemia da covid il Governo stabilì il divieto temporaneo di licenziare, e forse in quella fase drammatica il provvedimento, come misura di urgenza, poteva avere anche una sua giustificazione.

Quando le cose iniziarono ad andare un po’ meglio, quando la misura cominciò a palesarsi come ridondante, e qualcuno cominciò a farlo notare, apriti cielo!

I leader sindacali, Maurizio Landini in testa, cominciarono una campagna basata sul terrore indotto da affermazioni come  “700mila licenziati da un giorno all’altro se si fosse tolto il blocco”, e qualche altro Segretario Generale arrivò a parlare di “bomba sociale di 1milione di licenziamenti”.

E allora via allo sciopero contro il Governo e Mario Draghi in particolare, reo quest’ultimo di aver manifestato chiaramente l’intenzione di rimuovere quella misura d’emergenza adottata dall’Italia durante il Covid (badate bene, unico paese in Europa!), che avrebbe solo impedito alle aziende di riorganizzarsi  proprio nella fase di ripresa post lockdown.

Era palese che la posizione sindacale fosse puramente demagogica, dato che in Italia era prevista la cassa integrazione straordinaria come in tutti i Paesi europei, e che il blocco se da un lato soddisfaceva le pulsioni marxisteggianti di un Sindacato ancora fermo ad uno schema di relazioni industriali di tipo ottocentesco ed a logiche anti impresa, dall’altro ingessava l’economia proprio nella fase delicata della trasformazione produttiva indotta dalla pandemia.

Ma sapete bene amici miei che in questo benedetto Paese c’è la tendenza a rendere permanenti le cose provvisorie, anche quando sono inutili o non funzionano a dovere (tipo il Reddito di Cittadinanza per essere chiari!).

E così quando la Commissione Europea inviò all’Italia una Raccomandazione  in cui definiva il blocco dei licenziamenti “ridondante e controproducente”,  il Ministro del Lavoro Andrea Orlando, tentando fino all’ultimo di prorogare il blocco voluto dal Sindacato, arrivò ad affermare che l’Europa “non valutava adeguatamente tutte le variabili del caso italiano, perché faceva un’analisi più retrospettiva che sul futuro” (sic!).

Tipica visione cara ai nostri Demostene, sempre pronti ad invocare la “diversità dell’Italia”, incompresa dagli altri.

Ma sì, quella stessa pretesa “diversità” che abbiamo visto negli anni invocare ad esempio per la difesa dell’italianità di Alitalia, della senesità di Mps, e in generale per difendere la nostra “propensione”, chiamiamola così, a spendere senza ritegno le risorse pubbliche a fini elettoralistici, pretendendo che gli “altri” ci diano i soldi senza nulla obiettare.

Alla fine prevalse la linea Draghi, che si beccò comunque da “succube della Confindustria”, e qualcuno arrivò anche ad accusarlo di essere il “Bolsonaro italiano”.

Tutte quelle proteste, quelle accuse, quegli scioperi, alla prova dei fatti si sono rivelati un bluff.

Perché gli ultimi dati dell’Istat, resi noti due giorni fa, ci dicono cose del tutto diverse.

Che cioè non solo la “Bomba sociale” paventata dal Sindacato non è esplosa, ma che negli ultimi mesi c’è stato addirittura un boom di assunzioni.

Per dare qualche cifra, a giugno 2022, ad un anno esatto della cancellazione del blocco, gli occupati nel nostro Paese sono tornati a superare i 23 milioni (con un più 194mila assunzioni a tempo indeterminato), ed i lavoratori dipendenti hanno raggiunto quota 18milioni e 100mila unità (tasso occupazione 60,1%) record storico dal 1977, anno in cui sono cominciate queste rilevazioni.

Tutte balle?  Anche l’Istat è asservito a Confindustria?

La triste verità è che queste posizioni ideologiche, queste  battaglie insensate,  una volta passate nessuno le ricorda più, e così  la demagogia ed il provincialismo continuano ad imperversare in tutti i settori della nostra società.

Adesso che “il Bolsonaro d’Italia” è caduto, può essere che Landini e compagnia cantante fra un paio di mesi si trovino a dialogare con un Governo di centro destra.

Chissà se riusciranno ad intendersi meglio con Meloni e Salvini!

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