7 Novembre 2022 - 9.54

PILLOLA DI ECONOMIA – Perché le elezioni di Mid Term in Usa interessano anche noi

di Umberto Baldo

Domani, 8 novembre, negli Stati Uniti si vota per le elezioni di metà mandato (comunemente definite di Mid Term).

Prima domanda: perché in Usa si vota in un giorno infrasettimanale, mentre nel resto del mondo le elezioni si tengono abitualmente di domenica?

Pensate che per rispondere bisogna risalire a quasi due secoli or sono, e precisamente al 1845, quando il Congresso decise di fissare una data unica per tutti gli Stati  in cui si dovessero tenere le elezioni presidenziali e federali (fino ad allora ogni singolo Stato degli Usa fissava autonomamente la data del voto)

Per comprendere appieno questa scelta bisogna tenere conto che allora la società era fondamentalmente agricola: a novembre i raccolti erano terminati ed era il momento più tranquillo per i  maschi possidenti terrieri o agricoltori, che erano gli unici ad avere diritto di voto. 

Si arrivò al martedì per esclusione, in quanto il lunedì era fuori discussione perché avrebbe richiesto a molti elettori di partire da casa la domenica in calesse per raggiungere i seggi; ed il riposo domenicale in quegli anni era sacro. Quindi giorni che non andavano sciupati per recarsi alle urne.   Anche il mercoledì non andava bene, perché era giorno di mercato, e gli agricoltori non sarebbero stati in grado di andare a votare. 

Così si decise che il martedì sarebbe stato il giorno in cui gli americani avrebbero votato alle elezioni.

E questa tradizione è rimasta anche oggi che gli agricoltori sono una esigua minoranza, e i calessi non si usano più.

Per la precisione la data è fissata il martedì dopo il primo lunedì nel mese di novembre.

Tornando elle elezioni di domani, vengono chiamate di Mid Term perché si tengono più o meno due anni dopo l’elezione del Presidente, e di fatto diventano una sorta di referendum sul suo operato.  

Negli ultimi decenni si sono caratterizzate per il fatto che, dai tempi di Jimmy Carter (e con l’unica eccezione di George W. Bush), in nessun  caso il Partito del Presidente in carica le ha mai vinte.

Non è detto che il Presidente non ottenga poi la rielezione due anni dopo, ma la crescente polarizzazione della politica americana impressa di fatto dalla “discesa in campo” di Donald Trump, le hanno rese ora particolarmente importanti per dare un’indicazione sia sulla forza dell’opposizione che  su quella del Presidente in carica. 

Il problema, con le elezioni americane è sempre lo stesso; non funzionano nel modo in cui noi siamo abituati, cioè che chi prende più voti vince.  

I voti in Usa non basta prenderli, bisogna vedere dove li si prende, anche perché la Camera dei Rappresentanti ed il Senato non vanno mai al rinnovo in un unico momento; ci vanno frazionate in momenti diversi.

E così domani gli americani voteranno per il rinnovo completo della Camera (che resta in carica solo due anni), e per quello di un terzo del Senato (i senatori restano in carica sei anni, ma vanno al voto in modo sfalsato, così che ogni due anni il Senato si rinnovi di un terzo).

In tutte le ultime elezioni abbiamo imparato che ci sono Stati che hanno una fede politica solida, repubblicana o democratica non importa, ma ce ne sono altri in cui l’elettorato è più ballerino, e così abbiamo visto che molte delle ultime tornate elettorali si sono ridotte ad uno scontro all’ultimo voto in Ohio o in Florida.

Si tratta dei cosiddetti Stati Swing, e domani sembra che la partita possa giocarsi tutta in Georgia, Arizona, Wisconsin e Pennsylvania.

In estrema sintesi se i democratici vincono almeno tre di queste corse, allora il Senato rimane com’è e la presidenza Biden può continuare a marciare. Se le vincono tutte e quattro, Joe Biden stappa lo champagne. Se ne perdono due o più, lo champagne lo stappa Donald Trump, probabilmente cinque minuti prima di annunciare la sua corsa presidenziale per il 2024.

Non meraviglia quindi se sabato scorso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi due predecessori, il Repubblicano Donald Trump e il Democratico Barack Obama, si sono trovati tutti e tre in Pennsylvania, forse lo Stato più in bilico, a sostenere il proprio candidato al Senato.   E si tratta di una coincidenza piuttosto rara. 

A titolo di pura curiosità a correre per i repubblicani al seggio senatoriale della Pennsylvania è Mehmet Oz. 

Se lo vedeste in foto lo riconosceste senz’altro come quel medico che dispensava consigli nel corso di una sua trasmissione televisiva, trasmessa anche in Italia con il titolo di “The Dr. Oz show”.

Cosa dicono i sondaggi?

Le rilevazioni ritengono probabile che i Repubblicani conquisteranno il controllo della Camera, attualmente in mano ai Democratici, mentre per il Senato le cose sarebbero più in bilico. 

Quindi la vera partita si gioca lì, perché basta conquistare pochissimi seggi (forse anche soltanto uno) per cambiare gli equilibri politici: attualmente al Senato Democratici e Repubblicani sono in parità, con 50 senatori a testa, ma i Democratici hanno formalmente la maggioranza perché la vicepresidente Kamala Harris ha diritto di voto, in caso di pareggio.

Questo significa che ai Repubblicani basterebbe avere un solo seggio in più al Senato, controllato dai Democratici, per ottenere la maggioranza, e viceversa. 

I toni dello scontro politico sono stati molto accesi, con  Donald Trump a gridare che gli Stati Uniti si trovano “a un punto di svolta” e che il risultato delle elezioni «influenzerà il paese per decenni”, e  Obama a replicare che “si vota per il principio stesso della democrazia. La posta in gioco è alta”.

Spero non vi sfugga che queste elezioni in qualche modo interessano anche noi, perché potrebbero far sentire i loro effetti anche in Europa.

E non è solo una questione di mercati, di politica dei tassi della Fed, di possibile recessione mondiale, ma soprattutto in questa fase di scontro aperto fra Stati Uniti e Russia in Europa, e con la Cina in Asia,  sarebbe sicuramente nel nostro interesse avere un Presidente Usa nel pieno dei suoi poteri, e non come si dice un’ “anatra zoppa”,  costretto a negoziare con il Congresso, e quindi con i Repubblicani di Trump, ogni singolo progetto legislativo, 

Ma questa è la democrazia, e l’alternativa sono appunto Putin, Xi Jinping, Erdogan e simili campioni di libertà.

Umberto Baldo 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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