11 Luglio 2022 - 9.53

PILLOLA DI ECONOMIA –  BO JO ed i suoi epigoni

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di Umberto Baldo

Vi ho detto più volte che pensare che l’economia possa vivere senza la politica, e viceversa, è un errore, perché in realtà politica ed economia sono le due facce della stessa medaglia.

L’uscita, o forse sarebbe meglio dire la cacciata, di Boris Johnson a seguito di una jacquerie nell’ambito del suo partito, potrebbe far pensare che la politica fortemente anti Ue del ex Premier potrebbe evolvere in rapporti più pacati e più costruttivi rispetto agli anni di Bo-Jo.

L’antieuropeismo più spinto è stato infatti il principio che ha sempre guidato Johnson, a partire dal 2016 quando la sua scelta di schierarsi a favore della Brexit fu decisiva per l’esito del referendum (vinto comunque a filo, con il 51,9% dei favorevoli), fino alle sue pressioni su Theresa May per indurla ad uscire anche dal mercato interno, e dall’unione doganale.

Fu sempre lui a sabotare il faticoso accordo raggiunto dalla May con la Ue, per scalzarla e prenderne il posto al n. 10 di Downing Street.

E sempre a lui si deve il voltafaccia sulla questione irlandese, con l’accordo prima firmato e poi rinnegato, che resta ancora oggi il punto di maggiore frizione fra la Ue e la Gran Bretagna.

Come accennato, l’uscita di scena di questo campione dell’intransigenza e della volubilità, ma io oserei anche dire della spregiudicatezza e dell’improvvisazione, potrebbe indurre ad immaginare una “normalizzazione” dei rapporti fra le parti in causa.

Certo a Bruxelles non sono ingenui, e quindi nessuno crede che la defenestrazione di Johnson possa portare ad una totale inversione di rotta sulla Brexit, o ad un ammorbidimento della “hard-Brexit” da lui voluta, ma sperare in un diverso approccio, più pragmatico e meno ideologico, alle problematiche ancora irrisolte, è nella logica delle cose.

In quest’ottica, ispirata alla legittima speranza che prima o poi il Regno Unito sarebbe tornato ad una maggiore razionalità, l’Unione Europea ha sempre evitato rotture definitive, anche quando, come sulla questione irlandese, le provocazioni e le menzogne di Johnson erano inaccettabili.

Credo che queste speranze siano destinate ad essere frustrate, perché destinate ad infrangersi sulla realtà, che ci dice due cose fondamentali.

La prima, che i pretendenti al posto di Bo Jo sono tutti militanti della prima ora della Brexit, dall’ex Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak all’ex Ministro della Sanità Sajid Javid, dal ministro degli Esteri Liz Truss,  che ha messo la propria firma sul progetto di legge per cancellare unilateralmente il Protocollo irlandese, a Steve Baker, che è  stato presidente dell’eurofobo European Research Group (Erg).

La seconda che, essendoci fra i Tory anche personaggi più accomodanti e ragionevoli, come ad esempio gli ex remainer Jeremy Hunt e Ben Wallace, la Brexit è diventata nel Partito Conservatore lo strumento principe da utilizzare per attizzare lotte intestine, e regolare i conti fra i leader.

Questa è la realtà attuale, e tutti coloro che nutrono qualche ambizione di diventare leader dei Conservatori, e dunque inquilino del n.10 di Downing Street, sanno di aver bisogno del sostegno dell’Erg e delle centinaia di deputati che Johnson ha fatto eleggere nel 2019 sulla scia della sua politica intransigente.

E la dimostrazione che si tratta di una partita chiusa sta nel fatto che i  Laburisti britannici, ed il loro leader Keir Starmer, hanno semplicemente cancellato la Brexit, e tutte le sue implicazioni negative, dal loro orizzonte politico.  Non ne parlano più!

Per la Ue l’unico vantaggio dell’uscita di Bo Jo sarà una tregua sulla questione irlandese, almeno fino a quando si sarà insediato il suo successore.

Ma a settembre, quando la questione tornerà alla Camera dei Comuni, e ci sarà il nuovo premier, Bruxelles potrebbe dover constatare amaramente che nulla è cambiato, e che lo scontro con Londra è inevitabile.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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