22 Febbraio 2023 - 9.39

Partito Democratico: non mitizziamo le primarie

Stefano Bonaccini al 52,87% con 79.787 voti, Elly Schlein al 34,88% con 52.637 voti, Gianni Cuperlo al 7,96% con 12.008 voti e Paola De Micheli al 4,29% con 6.475 voti. 

Sono questi  i dati definitivi del voto (svoltosi dal 3 al 19 febbraio)  nei circoli per la scelta del nuovo Segretario, ufficializzati dalla  Commissione Nazionale per il Congresso del Partito Democratico. 

Per gli amanti dei numeri, gli iscritti votanti sono stati 151.530. 

A questo punto manca solo lo showdown finale, il voto ai gazebo, dove il 26 febbraio chiunque potrà scegliere fra Bonaccini e Schlein.

Sottolineo quel “chiunque” non a caso.

Perché proprio in quel “chiunque” sta l’essenza di questo meccanismo che molti considerano ideale per selezionare i candidati, alla Segreteria Nazionale in questo caso, ma anche alle elezioni generali o locali. 

E’ veramente così?

Perché a ben guardare domenica prossima un cittadino qualsiasi, che non ha mai votato e non penserebbe mai di votare a sinistra, si potrà tranquillamente presentare ad un gazebo per dare la propria preferenza ad uno dei due candidati.

Già perché le tanto enfatizzate “primarie aperte” consentono a chiunque di partecipare. 

Non è richiesto essere iscritto al Partito; basta presentarsi, dichiararsi elettore del Pd (sic!), versare un contributo di almeno due euro…… ed il gioco è fatto.

Del resto l’iscrizione non sembra essere un elemento determinante, visto che una dei due contendenti, Elly Schlein, fino a qualche mese non era neppure iscritta al Pd, tanto che hanno dovuto in fretta e furia modificare lo Statuto per consentirle di correre.

Per tornare alla domanda, mi chiedo come si possa sentire un militante vero, di quelli che credono veramente nel Partito,  di quelli che rinnovano fedelmente la tessera ogni anno, di quelli che una volta attaccavano i manifesti, volantinavano, partecipavano alle assemblee anche accapigliandosi, o sudavano sulle griglie alle Feste dell’Unità, vedendo che il proprio voto alla fine vale quanto quello di uno che domenica 26 febbraio passa per la strada.

Sembra  la sublimazione dell’Uno vale Uno teorizzato da Beppe Grillo.

Non posso non chiedermi che senso abbia tenere in piedi i circoli e gli apparati, fare le campagne di tesseramento, illudere i militanti di contare, quando alla fine il loro ruolo è solo quello di indicare i due candidati al ballottaggio, in quanto alla fine il “leader” viene deciso in una kermesse in cui “chiunque” può contribuire a designarlo.

Capisco che io sono in qualche modo condizionato da un passato in cui il Segretario nazionale usciva da un Congresso, in cui si dibatteva la linea politica, si confrontavano i programmi, si votavano mozioni spesso contrapposte.

Mi rendo conto che oggi è cambiato tutto, che i Congressi sono visti come un residuo del passato, che nessuna Forza politica infatti celebra più.

Ma poi non lamentiamoci se i Partiti di oggi sono dominati da oligarchie, da “cerchi magici”, divisi in correnti guidate da cacicchi interessati solo a mantenere la propria fetta di potere.

In altre parole Partiti in cui il gioco democratico è ormai un ectoplasma, ed in cui si fa carriera per “cooptazione” sulla base della fedeltà al Capo.

Tutto ciò  assume la massima evidenza nel momento in cui si stilano le liste elettorali per il Parlamento,  quando si impongono come capi lista, o comunque fra i sicuri eletti, esponenti che nulla c’entrano con il territorio in cui vengono candidati.

Riprendendo il ragionamento sulle primarie, l’obiettivo delle primarie aperte a tutti è sicuramente quello di poter affermare che a designare il Leader sono stati milioni di cittadini-elettori,  illudendosi  così di sottrarlo ai condizionamenti delle nomenclature, dei capi bastone, dei Signori delle tessere, delle correnti.

Passando sopra al fatto che così si rischia la deriva plebiscitaria, tanto che a questo punto forse varrebbe la pena consentire la votazione via Internet, e buona notte al secchio!  

In questo i “grillini” sono stati dei precursori, ma con una differenza sostanziale; per poter votare sulla mitica “piattaforma Rousseau” bisognava essere iscritti al M5 Stelle; nelle primarie del Pd si vota sì fisicamente al gazebo, ma può partecipare “chiunque”.

Oltretutto viene da chiedersi: ma come mai, nonostante le primarie aperte, alla fine i capi corrente sono sempre quelli, elezione dopo elezione, Segretario dopo Segretario?  

Sempre le stesse facce, inamovibili, tanto che per loro sembra valere la regola della Burocrazia: “i Segretari Nazionali passano, noi no!”.

Per concludere, non voglio dare l’impressione di stroncare del tutto la pratica delle primarie, su cui ad esempio è basata la selezione dei candidati negli Stati Uniti, e va dato atto che almeno il Pd  le prevede, a differenza degli altri Partiti.

L’importante è non attribuire loro effetti miracolistici, perché, come accennato, l’attivismo degli iscritti può affievolirsi se a ogni elezione la voce di chi milita e si impegna direttamente nella vita del Partito è equiparata a quella di chi paga due euro per votare, e tutto si ferma lì. 

In effetti domenica, grazie al voto dei “chiunque” potrebbe vincere la Schlein,  così vanificando il voto degli iscritti che nei circoli avevano preferito  Bonaccini con quasi venti punti di scarto.

Quindi a mio avviso con le primarie così concepite si concretizza il rischio che, mobilitando nel breve periodo un elettorato passivo, se non indifferente, si può smobilitare nel lungo quello più attivo e più fidelizzato.

Come l’andamento elettorale degli ultimi anni sembra confermare!

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA