16 Novembre 2020 - 16.28

Natale 2020: sarà il peggiore della storia? Niente affatto

Di Alessandro Cammarano

Sarà un Natale diverso quello di quest’anno, in piena sintonia con l’anno bisesto che volge al termine e che ha sconvolto la vita quotidiana e le dinamiche sociali costringendo ciascuno di noi – tranne i mòna che vanno in piazza senza mascherina perché “è dittatura sanitaria” – a ripensare ai propri ritmi di vita, a riconsiderare le priorità.

Sarà un Natale diverso, con tutta probabilità senza grandi cenoni, senza la tavolata di parenti e senza le proverbiali litigate tra cognate o tra suocere e nuore che solitamente allietano il desco, ma non sarà necessariamente un Natale triste; potrebbe essere una bella occasione per riflettere sulle priorità della vita, sugli affetti veri, sul non dover ostentare a tutti i costi. Un po’ di retorica? Sì, forse, ma ogni tanto non fa male se richiama all’essenziale ed evita di farci indossare orridi maglionazzi con fantasia “pupazzo di neve” o “omino di zenzero” e le tragiche corna di renna glitterate o a led.

Non sarà necessariamente un Natale più triste, anzi; percorrendo a ritroso il cammino della storia – un po’ come Ebenezer Scrooge del “Canto di Natale” di Dickens – si scopre che non saremo gli unici a vivere delle feste diverse, perché il Natale non è sempre stato festoso.

Era il 23 dicembre del 1984 quando una bomba dilaniò, all’altezza di Vernio, le carrozze del rapido 904 che da Napoli risaliva verso Milano. Sedici furono le vittime e la strage inaugurò un secondo periodo di terrore in Italia, facendo precipitare il paese in un clima di incertezza e sospetti. Era l’ultimo anno di presidenza di Sandro Pertini e Bettino Craxi presiedeva il Governo; sembra passata un’era geologica, tutto parve perduto eppure se ne venne fuori.

Nel 1996 le Festività furono segnate dal naufragio di un battello nella notte tra il 25 e il 26 dicembre all’altezza di Portopalo. Qualcuno potrebbe dire che la cosa non ci riguarda ma, come dice Publio Terenzio Afro «Homo sum, humani nihil a me alienum puto» («Nulla che sia umano mi è estraneo») non si dovrebbe essere indifferenti. Erano 283 persone – turchi, curdi, pakistani, cingalesi – a bordo di poco più di un relitto; 283 disperati in cerca di un destino migliore; chi li fece partire, dopo aver fatto loro pagare parecchie migliaia di dollari, sicuramente non aveva scrupoli e passò delle feste meravigliose. Erano migranti? No, erano esseri umani.

Forse il colpo più grosso lo assestò Madre Natura il 26 dicembre 2006 quando, tutti seduti per il pranzo di Santo Stefano – quello tradizionale “degli avanzi” apprendemmo del terremoto-maremoto nell’Oceano Indiano. Pareva la scena di un film e man mano che arrivavano le immagini allo spirito natalizio si sostituiva l’angoscia; i morti furono duecentottantatremila, in un colpo solo. Vite interrotte, interi villaggi cancellati, famiglie distrutte. Unica ad averci guadagnato l’industria cinematografica con un paio di B-Movie col papà eroico e biondissimo che salva la sua famigliola patinata.

Una speranza venne dal Natale del 1914 con la famosa “Trêve de Noël “o “Weihnachtsfrieden” – più semplicemente “Tregua di Natale” – quando spontaneamente i combattenti, per lo più soldati semplici, degli eserciti inglese e tedesco cessarono i combattimenti sul Fronte Occidentale e uscirono dalle trincee per incontrarsi nella terra di nessuno. Fu una notte di amicizia, di bevute, di piccoli doni; il giorno dopo gli scontri ripresero, ma quella notte resta scolpita nella storia a ricordare a tutti che spesso basta poco per interrompere il flusso degli eventi – quali che siano – e restituire dignità alle persone.

Passiamo le nostre feste il più serenamente possibile, cercando di mantenerci in salute e rispettando quella degli altri; per le litigate coi parenti durante il pranzo del 25 dicembre avremo sicuramente tempo l’anno prossimo, magari ricordando che i nostri nonni durante la Seconda Guerra Mondiale solennizzavano le festività natalizie con spezzatino di gatto, ragù di pantegana e la sera della Vigilia, quando la cena è notoriamente di magro, con una sontuosa polenta sulla quale si strofinava un unico “scopetón” – “aringa affumicata” per i non veneti – per darle un vago sentore ittico. Non sarà un brutto Natale, solo diverso.

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